Tra le tante ‘svolte’ (positive e negative) ed i radicali cambiamenti di rotta che ci ha riservato il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, una delle più drastiche fratture sociali – che ci ha bruscamente separato da un plurisecolare passato – è stata indubbiamente rappresentata dalla fine del mondo contadino, inteso come pregnante collante di civiltà. Oggi, appena superata la soglia del terzo millennio, non ci sono pii i contadini, come li ricordiamo noi, vissuti nei decenni a cavallo tra l’era prebellica e quella attuale, iniziata intorno alla metà del secolo scorso. Un esodo di proporzioni bibliche ha reso possibile, negli anni ’60 del Novecento il verificarsi di quello che è stato impropriamente definito il ‘miracolo economico’ che ha consentito l’espansione dell’industria a scapito e danno della civiltà contadina e delle sue forze migliori (quelle giovanili soprattutto), che ha visto desertificarsi i campi per riempire le fabbriche lungo tutto un ventennio. Questo nuovo attraversamento in massa del Mar Rosso ha lasciato dietro di sé anche il depauperamento di un patrimonio edilizio, frutto di uno stile di vita, coperto ed occultato spesso con asfalto e cemento, quando non lasciato definitivamente deperire. Oggi si sta facendo strada l’opinione che il paesaggio agrario è degno di essere salvaguardato, che sono opportuni nuovi insediamenti, che è necessario il recupero degli edifici rurali abbandonati (non solo per camuffare nuove, doviziose realtà residenziali) e creare così, come necessaria conseguenza, nuovi posti di lavoro nella edilizia di restauro e dei servizi. Da una concettualità di questo genere – tutta tesa all’instaurazione di un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente, tra città e campagna – è nato il progetto internazionale ‘Sudira’, al quale ha aderito anche la Regione dell’Umbria. ‘Il progetto – ha dichiarato a suo tempo l’Assessore all’assetto del territorio Ada Girolamini -, che rientra nell’ambito dello strumento finanziario ‘LifeAmbiente’, interessa le zone rurali dell’Umbria soggette a forte spopolamento, individuate dai censimenti effettuati dalla Regione e da altri enti. L’integrità di queste aree, dovuta anche all’arretratezza economica che le affligge, può essere trasformata in una preziosa risorsa economica e di salvaguardia ambientale, soprattutto attraverso il recupero del patrimonio architettonico rurale e delle tradizioni culturali ad esso collegate’. L’abbandono delle case coloniche in Umbria e, secondo una solidarietà intima ed inevitabile, di tutto l’assetto paesaggistico ed ambientale rurale, ha assunto (nel breve tempo) connotazioni pari a quelle verificatesi in altre regioni di uguale o superiore livello culturale. Un degrado facilitato anche da una improvvida politica urbanistica. Ben venga dunque l’iniziativa legata al Sudira, soprattutto se questo progetto viene destinato ad essere il capostipite di una nuova filosofia progettuale tutta rivolta a salvare dal degrado, produttivo ed ambientale, un patrimonio di civiltà (intesa nella più vasta accezione del termine) consegnatoci dai secoli e pressoché disperso nel volgere di pochi anni. Non sarebbe male tuttavia che l’Assessore regionale competente facesse tenere informati periodicamente i cittadini relativamente allo ‘status quo’ di una progettualità (quella legata, appunto, al Life Ambient ed al Sudira) tanto opportunamente e tempestivamente sposata dall’Istituizione.
Case coloniche: patrimonio da salvare
L'Umbria partecipa al progetto 'Sudira' per la tutela del paesaggio rurale
AUTORE:
Giancarlo Scoccia