Dal 14 al 17 maggio, insieme all’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Gualtiero Bassetti, e ad altre persone impegnate nella Caritas regionale, sono stato in Kosovo per visitare le strutture che la nostra Caritas ha avviato in quel Paese. Da tempo desideravo, come delegato Ceu per il servizio della carità, conoscere questa bella realtà, di cui avevo spesso sentito parlare. Abbiamo portato il conforto, il sostegno e l’incoraggiamento della Chiesa umbra a questa esperienza missionaria. La nostra presenza in Kosovo, così come quella della Caritas in qualsiasi altra parte del mondo, si colloca in un’ottica di aiuto umano prima ancora che economico, che si concretizza nella vicinanza di un popolo ad un altro. Questo è il modo di interpretare la nostra fede, che ci insegna a farci carico di chi ci sta vicino, sia esso prossimo o meno dal punto di vista geografico. In questa visione si colloca la presenza in Kosovo, a nome delle otto diocesi dell’Umbria, di Massimo e Cristina Mazzali e il loro servizio a favore degli oltre cinquanta bambini e ragazzi orfani della guerra o poveri. Stare accanto ai piccoli, agli adolescenti e ai giovani ci ha permesso di toccare con mano come la vita si rinnova e ritrova di continuo freschezza; abbiamo partecipato al loro aprirsi alla vita; ci siamo stupiti dei loro stupori per ciò che vanno scoprendo; ci siamo lasciati contagiare dalla spontaneità dei loro slanci. Osservare i volontari delle Case nei piccoli gesti quotidiani, a volte monotoni e pesanti, ci ha fatto assaporare ancora una volta la bellezza e la fatica di educare e di stare accanto agli “ultimi”. Ciò richiede impegno. Non basta, però, l’entusiasmo di un momento per essere discepoli, né basta decidere in base ad una qualche esperienza forte. La sequela di Gesù implica un coinvolgimento tale che può portare là dove non si immagina andare, può far vivere cose insperate e ancora inaudite. Lo stesso si può dire di tutti i volontari che in questi anni si sono recati in Kosovo. Certo, non tutti sono chiamati a lasciare ogni cosa per dedicarsi agli altri. Gesù, infatti, non richiede la rinuncia alla vita, a questa vita per averne un’altra, ma esige che si cambi il progetto di questa vita, orientandolo nella linea dell’amore. Le case Caritas in Kosovo possono aiutare tanti nostri giovani umbri, attraverso i campi estivi organizzati dalle parrocchie, a dare fondamenta solide al loro progetto di vita. Laggiù con i gesti si racconta la storia di Gesù, ogni azione trae origine da quel “come io vi ho amato”. Nella casa di Radulac e in quella di Glaviciza si vive l’impegno della carità come scelta di vita e non come bisogno sociale o biologico; lo stile che le contraddistingue è quello della gratuità e della generosità; la preghiera, infine, permette agli abitanti di essere amici di Dio nei gesti ordinari di ogni giorno, nella consapevolezza che senza una vita cristiana seria l’uomo e la donna possono fare tante cose belle che non sono, però, Caritas. Mi piace definire la presenza delle diocesi dell’Umbria in Kosovo come una presenza di bontà: solo la bontà, infatti, è la forza che permette agli uomini di vivere in pace gli uni accanto agli altri, senza nuocersi, rispettosi e benevoli. Dove dimora la bontà ci si aiuta quando il carico da sopportare è troppo pesante per una persona sola; dove dimora la bontà le difficoltà svaniscono, le brutture si dimenticano, le sofferenze si placano, la gioia si irradia e la vita diventa interiormente felice, perché è posta sotto il segno della benevolenza.
Case Caritas in Kosovo, un progetto di vita
AUTORE:
Renato Boccardo, Arcivescovo di Spoleto-Norcia