Caro babbo Adamo, vi scrivo la sera del 24 maggio 2015, cento anni esatti da quando l’Italia entrò in guerra contro gli Imperi centrali. Una decisione che nei tre anni seguenti, da quando avevate 21 anni a quando superaste i 24, anche voi pagaste duramente. Vi scrivo dandovi del voi come tutt’e quattro noi figli abbiamo sempre fatto, anche nei confronti di mamma Maddalena: non ci ha mai nemmeno sfiorato il pensiero di potervi dare del tu, tanto vi vedevamo in alto. Tutt’e due.
Cento anni fa. Contro quella Triplice Alleanza sulle cui orme avevamo per anni scodinzolato nella speranza di un posto al sole. Seduti su di uno strapuntino del vecchio treno che viaggiava, ansante e tenace, verso i 15/17 milioni di mortammazzati; avevamo accarezzato le nostre piccole pretese di gregari nella corsa all’acquisizione di “selvaggi” (!?) territori coloniali.
Cento anni fa. Oggi, di quell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale è stata fatta una celebrazione finalmente non celebrativa. Eroismo e fango: così titolava un bel servizio Tv.
E io pensavo a voi, babbo Adamo. Agli amici d’infanzia che doveste seppellire. Alla sbobba che doveste ingerire per sopravvivere. Al fango puteolente della vostra trincea, in quei tre anni e mezzo in cui l’umidità fetida fece crescere nella parte inferiore delle vostre gambe delle varici spaventose.
E pensavo alle promesse buttate là dagli stessi pescicani che ogni tanto, in seguito ad eventi che nemmeno le più barbare “leggi di guerra” avrebbero giudicato gravi, ordinavano una decimazione. Promesse di un’Italia in cui ci sarebbero stati lavoro e prosperità per tutti.
E invece quando, ad un anno dalla fine della guerra, vi sposaste, il letto matrimoniale era composto da due cavalletti, quattro tavoloni, un saccone di foglie di granturco; e il viaggio di nozze durò … un giorno: Scheggia, Foligno, Perugia, Scheggia. E quando, dopo la morte neonatale del primo figlio, il secondo contrasse la poliomielite, per pagare sei mesi di ricovero al Rizzoli di Bologna doveste sobbarcarvi 10 anni di durissimo lavoro straordinario.
Eppure, guai a chi parlava male della prima guerra mondiale! Una sera, come sempre, la nostra piccola famiglia accolse dopo cena i big del Movimento studenti (Giambaldo, Alfonso, Gianni Fiorucci, Piero Minelli,…): quattro chiacchiere, una partita a scopone, “Buona notte!”.
Noi tre rimanemmo a vedere uno speciale Tv su Caporetto, ma uno di loro, falsificando la voce, vi chiamò al telefono: “Cavaliere, ma quel soldato che a Caporetto correva tanto, in prima fila,…: avete notato come vi assomigliava!”… Quella notte, distrutto dallo scherzo crudele, vi alzaste mille volte dal letto; vi sentii bofonchiare, passeggiando nervoso, avanti e indietro: “L’Italia, Noi l’emo fatta e noi l’arguastamo!!”. Ma, babbo …: non era una contraddizione stridente quella di volere a tutti i costi difendere un’esperienza che vi aveva fatto tanto soffrire? No, non lo era. Perché.