Dove stanno andando gli umbri? Non è la domanda sulla destinazione delle vacanze. No. È la domanda che si impone quando si mettono in fila i vari rapporti e indagini sulla situazione economica e sociale della nostra regione.
L’ultimo è il report “Le statistiche sulla povertà” presentato dall’Istat martedì scorso. Una tabella riassume l’incidenza della povertà relativa delle singole regioni mettendo a confronto gli anni 2017 e 2018 mostrando un dato medio italiano dell’11,8% di “poveri relativi”, in leggera diminuzione (0,5%) rispetto al 2017. E l’Umbria? Dal 12,6% del 2017 passa al 14,3% del 2018: la povertà relativa aumenta dell’1,7%.
Il Report Istat conferma l’analisi del Rapporto annuale della Banca d’Italia sull’economia umbra presentato a Perugia la settimana scorsa con dovizia di dati sulla nostra regione tra cui anche quelli che ci dicono che aumenta il numero di persone in povertà assoluta e cresce la distanza tra chi ha e chi non ha.
L’elenco potrebbe allungarsi con le analisi periodicamente proposte dai sindacati e dagli organismi di rappresentanza delle diverse categorie economiche. Ma a chi servono questi dati? Certo non ai giovani che sperimentano sulla loro pelle la difficoltà di trovare o di crearsi un lavoro, né ai liberi professionisti che perdono clienti o hanno clienti che non pagano la parcella, né ai lavoratori delle aziende che chiudono e licenziano … Per tutte queste persone l’economia che non va e la povertà che cresce non sono numeri ma vita concreta.
Potremmo dire anche che questi dati non servono neppure alle realtà caritative delle nostre Chiese che incontrano le persone concrete, conoscono le loro difficoltà e sperimentano anche il limite dell’aiuto che possono dare.
Il limite, appunto. Perché la carità non può essere la sola risposta che una società mette in campo di fronte all’impoverimento di una parte sempre più numerosa dei suoi componenti. C’è bisogno di lavoro, e il lavoro viene dal sistema economico.
Lo Stato può incentivare o ostacolare, può indirizzare di più o di meno, può fare tante cose, ma non può sostituirsi all’imprenditore nè ai sindacati. Insomma la politica deve fare la sua parte, gli operatori economici la loro, la società la sua. Un numero sempre maggiore di umbri non riesce ad immaginare un futuro nella propria terra.
Il direttore dell’Agenzia Umbria ricerche Giuseppe Coco, nel Focus “L’Umbria delle fragilità” pubblicato sul sito dell’Aur l’11 giugno scorso, ha evidenziato l’inversione di tendenza nella crescita della popolazione in Umbria: positiva fino al 2010 quando abbiamo raggiunto i 906mila abitanti e poi negativa con una perdita di 20 mila abitanti, per lo più in età lavorativa.
“Un serio elemento di preoccupazione – commenta in quanto può risultare molto difficile riuscire ad impostare strategie di sviluppo economico se diminuiscono le persone in età lavorativa e aumentano gli anziani”.
Occorre una risposta politica ma sembra che i politici siano in tutt’altro affaccendati. Nel numero della scorsa settimana il segretario generale Cisl Ulderico Sbarra concludeva il suo contributo facendo appello al “mondo libero e responsabile che pure esiste nel lavoro, nel sociale, nell’ambientalismo, nella produzione” per “elaborare proposte concrete per affrontare il futuro”.
Queste proposte saranno sul tavolo del dibattito politico quando in autunno gli umbri saranno chiamati a eleggere il Consiglio regionale?
Sono ben consapevole che il reddito di cittadinanza non è l’unica risposta al problema della povertà però sottovalutare o addirittura ignorare, da parte del mondo cattolico, il provvedimento varato dal governo mi sembra una posizione incomprensibile. Non c’è solamente la carità, anche se encomiabile per certi aspetti, per affrontare la povertà ma anche l’iniziativa del RdC, la trovo positiva se non altro per l’impegno economico, non indifferente, varato (8 miliardi). Si chiede una risposta politica ma se la politica se ne fa carico e in modo significativo, molto più del REI, la si critica ferocemente. Lo stato può fare molto e senza scomodare Keynes solamente una politica espansiva svincolata da rigide regole europee può rimettere in moto l’economia e aumentare la tanta auspicata occupazione. Il RdC mi sembra che tutto sommato vada in questa direzione perché stimola la domanda, anche se in modo lieve. L’alternativa è l’austerità e la contrazione dei salari con la benedizione dei sindacati compiacenti e degli imprenditori compiaciuti che è la politica fin qui seguita e che Leuropa ci chiede, ancora oggi, nonostante i pessimi risultati anche per le imprese.
L’editoriale non è un approfondimento sul Reddito di cittadinanza al quale, invece, è dedicato il contributo dell’economista prof. Pierluigi Grasselli https://www.lavoce.it/reddito-cittadinanza-trasforma/. Qui possiamo solo aggiungere che le osservazioni critiche al provvedimento del Governo non sono venute solo dal mondo cattolico. Inoltre l’efficacia del Rdc sarà valutata nel tempo ma quello che già sappiamo è che le politiche attive del lavoro (aiutare chi non ha lavoro a trovarlo con percorsi di formazione e di accompagnamento) attivate con il Rdc non saranno efficaci se il sistema economico non crea nuovi posti di lavoro.