Già nel 2010 era in atto una campagna all’insegna dello slogan “Il buon medico non obietta”, intendendo con ciò che il buon medico fa tutto ciò che gli viene chiesto, senza poter esprimere il suo parere. Come a dire che un medico è solo un operatore manuale, un tecnico specializzato. Di questa opinione si fa portavoce, in un comunicato, la Fp Cgil che denuncia un “boom” in Umbria per quanto riguarda l’obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari.
“In Italia – afferma il sindacato – la percentuale degli obiettori arriva in alcune regioni anche al 90%, e l’Umbria non è immune da questo fenomeno. Dai dati ufficiali, confermati da un’indagine fatta dalla Fp Cgil Umbria, risulta un aumento esponenziale dell’obiezione di coscienza, con punte del 70-80% in alcune strutture ospedaliere umbre. Inoltre – prosegue la Fp-Cgil – ci risulta che la somministrazione della pillola Ru486 venga effettuata in un solo ospedale. A fronte di queste storture, serve da parte del Governo regionale un piano di contrasto per garantire l’effettiva attuazione della legge”.
Per la Fp Cgil Umbria, “è necessario ed urgente aprire un tavolo regionale di confronto per verificare l’effettiva attuazione della 194 su tutto il territorio umbro, garantendo in ogni presidio la presenza 24 ore su 24 di un numero adeguato di medici ed infermieri non obiettori, e un’attenta riflessione sul fenomeno dell’aumento concentrato negli ultimi anni degli obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere umbre. Si tratta di non penalizzare le donne, ma anche i medici e gli infermieri che, non dichiarandosi obiettori, vedono ricadere solo su di loro il lavoro per le interruzioni di gravidanza”.
Sull’argomento abbiamo sentito il parere del presidente regionale del Movimento per la vita Vincenzo Silvestrelli, il quale ha precisato che la legge 194 va rispettata i tutti i suoi dettami, quindi anche quello che offre la possibilità di fare obiezione di coscienza. “Inoltre – prosegue – l’obiezione non è scelta sempre per motivi di ordine religioso e di appartenenza alla fede cattolica, quanto per motivi umani, per l’evidente disagio che medici e personale sanitario possano sperimentare nell’operare per la soppressione di una vita umana. Pur girando intorno al problema e tirando in ballo situazioni, motivazioni e vicende di ogni genere, nel fondo della consapevolezza delle persone coinvolte in un’operazione abortiva rimane l’idea che si tratti di eliminare un essere umano e impedirgli di venire alla luce. E ciò, a lungo andare, logora anche il più convinto assertore dell’aborto. Il fatto poi – conclude – di considerarlo un diritto della donna è stato messo in discussione in quanto confligge con il primo dritto fondamentale alla vita”.
Recentemente anche la senatrice Bonino ha detto la sua a favore delle donne che vogliono abortire e contro gli obiettori, che secondo lei sono tali per motivi di carriera professionale. Un attacco che si inquadra in un disegno volto a rivedere la legge 194 per evitare o limitare al massimo ogni forma di obiezione di coscienza. Questa battaglia per chi si dichiara liberale è da considerarsi una scelta oscurantista.
L’assessore regionale alla sanità, Tomassoni: apriamo un tavolo
In risposta alla denuncia del sindacato di sinistra circa pillola Ru486 e l’applicazione della legge 194/78 sull’interruzione della gravidanza, l’assessore regionale alla Sanità Franco Tomassoni ha predisposto un tavolo di discussione e di approfondimento del tema, dimostrando disponibilità al dialogo e apertura alla comprensione delle varie posizioni in gioco. A questo proposito Maria Pia Rosi, consigliere regionale del Pdl, parla di “cedimento all’ennesimo ricatto dei sindacati di sinistra” e ricorda che per una applicazione corretta della suddetta legge dovrebbe essere messo in atto un percorso informativo che renda le donne consapevoli dei danni e dei rischi che corrono nelle pratiche abortive. Scrive l’assessore Rosi: “Il messaggio che la sinistra dà è un messaggio di morte e leggerezza, perché non si può paragonare l’aborto alla cura di un raffreddore”; e ricorda le 15 ragazze morte dopo la somministrazione della Ru486, oltre al frequente ricorso delle donne a terapie per curare il danno psicologico procurato da un aborto. C’è anche un ammonimento a Tomassoni a non cedere in materia, a non scendere a patti per salvare la poltrona. Pensiamo inoltre che sia una raccomandazione non necessaria. Il senatore Maurizio Ronconi dell’Udc a sua volta chiede all’assessore regionale alla Sanità di convocare al tavolo di discussione anche rappresentanti delle organizzazioni cattoliche, del Movimento per la vita, dell’Associazioe medici cattolici.
Siamo all’assurdo, l’obiezione di coscienza, propalata dai movimenti pacifisti del 68′ e oltre, viene ora messa in discussione perche’ esercitata per interessi diversi dai famosi sostenitori delle liberta’. Ebbene, siamo tutti liberi, sembra, tranne che di pensare e agire in maniera contraria alla loro: eccoci alla dittatura del pensiero debole.
La Corte costituzionale è cieca di fronte all’eccidio
L’obiezione di coscienza dei medici, prevista sia dalla legge 194/1978 (art. 9) che dalla legge 40/2004 (art. 16) – due leggi che noi abbiamo sempre considerato e consideriamo molto negative e dannose per la nostra società -, oltre a riconoscere agli operatori sanitari un proprio diritto costituzionale, cioè la libertà di agire sempre nel rispetto assoluto della propria coscienza (è bene ricordare che ogni atto medico deve essere compiuto secondo scienza e coscienza), può essere letta, anche, come l’ammissione da parte del Legislatore – ancora non ben compresa e fatta adeguatamente conoscere – della pericolosità sociale di queste due leggi. La legge 194/1978, che di fatto consente a tutte le donne di poter abortire volontariamente senza alcun motivo documentabile entro i primi 90 giorni di gravidanza, ha causato direttamente nei primi 34 anni di applicazione la morte di più di 5 milioni e mezzo di concepiti ed indirettamente – attraverso la perdita di rispetto per la vita umana appena concepita, la diffusione della mentalità contraccettiva e la banalizzazione della sessualità – di un numero circa 8-9 volte maggiore. Questo tipo di cultura di chiusura alla vita ha partorito il “suicidio demografico” di cui si comincia solo a parlare. La legge 40/2004, per far nascere 22.843 bambini negli anni 2006-2009, ha richiesto di esporre a morte sicura gli altri 296.209 embrioni trasferiti in utero nello stesso periodo e mai nati. In relazione alla recente decisione della Corte costituzionale (che conferma la prassi vigente) l’Associazione italiana ginecologi e ostetrici cattolici (Aigoc) esprime delusione, timore, dolore per la decisione dei giudici. La cecità e la sordità della Corte costituzionale di fronte a questo eccidio accresce il nostro dolore per tutti i bambini cui è stato impedito di nascere e per le loro mamme e papà, la cui coscienza non nega la gravità del gesto compiuto e li costringe a combattere con la sindrome post-abortiva. Come operatori impegnati quotidianamente al servizio della vita umana nascente, non possiamo tacere l’abuso da parte delle donne, il più delle volte lasciate sole a decidere, e spesso mal consigliate anche dagli operatori delle strutture che dovrebbero offrire loro sostegno ed aiuto, e dagli operatori sanitari nel ricorso all’aborto volontario, senza gravi motivi reali e documentabili per la loro salute anche dopo i 90 giorni di gravidanza. Per questo riteniamo molto grave per il bene comune della nostra Italia e dell’umanità tutta la decisione della Corte costituzionale, e ci auguriamo che quanto prima chi ha a cuore il rispetto della dignità e della vita umana si mobiliti per fare ciò che i giudici non hanno voluto fare.
Angelo Francesco Filardo – Consiglio Direttivo AIGOC – Foligno