Con la terza domenica del tempo ordinario, inizieremo ad ascoltare la lettura del Vangelo secondo Matteo, che costituirà l’ossatura di ogni liturgia delle 34 domeniche di questo ciclo. Parallelamente ascolteremo la prima lettura, in genere dall’Antico Testamento, che gli starà di fronte come una sorta di controcanto profetico, che in questi commenti cercheremo di non trascurare. Matteo strutturò letterariamente il suo scritto in maniera ben organica, attorno al tema del realizzarsi storico del regno di Dio; di questo tema oggi ascolteremo l’annuncio. Nelle prossime domeniche assisteremo al suo graduale, molteplice sviluppo.
Il brano odierno è chiaramente distinto in tre momenti: il ritorno di Gesù in Galilea, dopo l’arresto di Giovanni Battista, e la scelta di Cafàrnao come residenza (4,12-13); la chiamata dei primi quattro discepoli (4,17-22); la presentazione di Gesù che insegna, predica, guarisce (4,23). Ognuno dei tre momenti ha una sua particolare rilevanza. L’evangelista riferisce anzitutto che Gesù, essendo stato informato dell’arresto del Battista, si ritira in Galilea, a Nazaret, luogo della sua infanzia e della sua giovinezza. Ma, aggiunge, che non volle stabilirvisi, perché non era visto di buon occhio dai paesani. Preferì Cafàrnao (4,13), popolosa cittadina sulle rive del lago di Galilea, nel territorio delle tribù di Zabulon e Neftali. In questo cambio di residenza l’evangelista vede il compimento della profezia di Isaia (prima lettura), che parlava di una grande luce improvvisa che avrebbe illuminato una popolazione oppressa e senza futuro.
Era l’annuncio del passaggio da un tempo di oppressione ad una età di salvezza messianica. Quando Gesù dà inizio alla sua opera messianica, nella zona del lago viveva un miscuglio di giudei e pagani; tant’è che era chiamata Galilea della genti, ossia distretto o circondario dei pagani. Essa divenne il centro dell’attività di Gesù. I cristiani della prima generazione intuirono che in questa scelta si nascondeva un senso che andava oltre: la luce, prevista da Isaia, e che risplendeva in primo luogo per Israele, era destinata al mondo intero. In questo contesto storico e geografico, risuona l’invito di Gesù: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Fu solo la prima volta; il testo lascia intendere che ancora altre volte egli dovette insistere nel chiamare a conversione. Con le stesse parole del resto Giovanni Battista aveva già chiamato a pentimento le folle dei giudei che andavano a trovarlo nel deserto. Ma ora il regno di Dio si è davvero fatto vicino all’uomo.
“Convertitevi!”: il greco dice metanoéite (4,17); alla lettera vuol dire: cambiate mente, capovolgete la vostra mentalità. Esigenza decisiva e irrinunciabile, senza la quale ogni ulteriore agire risulta problematico; la conversione è il punto di partenza di ogni esistenza cristiana. I successivi racconti evangelici di chiamata intendono spiegarne il significato. I quattro pescatori, che rispondono per primi alla chiamata di Gesù (4,19-21), ne costituiscono il modello. Tanto per cominciare, accettarono di cambiare totalmente prospettiva sul loro lavoro di pescatori: non più pescatori nel senso ovvio del termine, ma pescatori di uomini. Pescare pesci era il loro modo di essere, il lavoro che permetteva di sostentare se stessi, le loro famiglie e quelle dei loro collaboratori.
Ma che cosa significava pescare uomini? Avranno capito lì per lì a che cosa erano realmente chiamati? La narrazione non riferisce se si fossero posti o no il problema; dice semplicemente che “lasciate le reti, le barche, il padre si misero a seguirlo” (4,22) attratti forse da quel fascino misterioso, che conoscono tutti quelli che hanno accettato di seguire il Signore, anche quando non capiscono del tutto il perché. Con il tempo i discepoli cambieranno la loro mentalità anche su molte altre cose. Capiranno soprattutto che la verità non sta nell’adeguarsi al pensiero corrente.
La sequela è la risposta concreta a quel cambio di mentalità che la vicinanza del regno di Dio richiede. Conversione è seguire Gesù, ognuno nella propria realtà; è aver ascoltato una chiamata ed essersi messi in cammino; è continuare a camminare ostinatamente, pur nella fatica, talvolta nell’incertezza, nel dubbio. Nonostante il proprio peccato. L’ultimo versetto (4,23) presenta un Gesù itinerante. La sua attività è riassunta in tre rapide espressioni: “Si aggirava per la Galilea, insegnando… annunciando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e infermità nel popolo”. Continueremo a contemplarlo così, lungo il resto dell’anno liturgico.