di card. Gualtiero Bassetti*
Quest’anno il Rettor Maggiore ha indicato nella Strenna 2020 una delle frasi più note attribuite al santo protettore dei giovani: essere “buoni cristiani e onesti cittadini”. La definirei una formula che racchiude l’«umanesimo educativo» di don Bosco. Il punto di partenza è quindi la sfida formativa che è al centro del carisma salesiano. Da sempre, e oggi più che mai, la comunità ecclesiale sente la necessità di farsi prossima nei confronti delle nuove generazioni.
Attenzione ai giovani
A partire dal Concilio Vaticano II, è cresciuta l’attenzione verso i giovani, ma la complessità della sfida educativa è tale che Papa Francesco ha sentito l’esigenza di rinnovare e rendere ancora più intenso l’impegno nei loro confronti. L’indizione, la celebrazione e le conclusioni del Sinodo dedicato ai giovani ne sono una chiara testimonianza. Le parole con cui il Santo Padre non si stanca di esortare i giovani al discernimento, allo slancio generoso, alla creatività e alla santità per occupare il posto che spetta loro nel mondo e nella Chiesa, sollecitano ad intensificare e rafforzare l’impegno per dare loro gli strumenti e gli ambienti più idonei a una crescita umana, cristiana e professionale.
Viviamo in una città, Perugia, e in una terra, l’Umbria, dove armonia e bellezza si fondono. Ma se non educheremo le nuove generazioni alle cose grandi, al desiderio di avere più vita, se non appagheremo in loro il bisogno di infinito, in una parola, di Dio, corriamo il rischio che i nostri ragazzi diventino schiavi dell’immanente, di “falsi profeti”, dell’imperativo del “tutto e subito”, di specchietti per le allodole che promettono vie illusorie per una felicità effimera e forviante.
Allora, proprio da una realtà come quella perugina, sensibile alle problematiche sociali, ricca di un umanesimo con radici antiche e consolidate, potrebbe partire il progetto per fare della nostra terra un vero laboratorio nel nome dei giovani e per i giovani. Torno all’espressione “buoni cristiani e onesti cittadini”.
Cristiani e cittadini
Le parole di Don Bosco ci dicono che il santo piemontese è convinto che la “risurrezione” della società passi attraverso l’esperienza cristiana. Ed è persuaso che i valori umani vengano assunti e purificati dalla vita di fede, potenziati dalla grazia. Per questo c’è bisogno di valorizzare l’umano nel cristiano, di promuovere tutto ciò che è positivo nella creazione per evangelizzare la società.
Vorrei ricordare lo scritto A Diogneto del secondo secolo in cui si legge che i cristiani “adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco” e ancora che “dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma col loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi”. Per quanto lontano cronologicamente da queste parole, don Bosco sembra condividere analoghe preoccupazioni.
Il cristiano non è un separato: è cittadino insieme del cielo e della terra, e in quanto tale prende sul serio la sua duplice e unitaria vocazione. Quindi i cristiani non possono essere indifferenti al fenomeno “cittadino”. La salvezza che la comunità cristiana annuncia e vive non è un’astrazione rispetto al divenire storico. E la sequela di Cristo si concretizza anche nell’impegno per migliorare la terra e la società.
E’, quindi, da rigettare una visione intimistica della fede. Quante volte ripetiamo che la fede deve tradursi nel quotidiano, che l’Eucaristia deve farsi vita uscendo dalla chiesa, che la Parola di Dio deve plasmare il nostro agire. E la nostra vita è nella società, da cittadini. Don Bosco aggiunge alla parola “cittadini” l’aggettivo “onesti”. L’onestà ha molteplici volti.
Significa legalità, ossia rispetto della legge. Ad esempio un cittadino che evade le tasse, che non contribuisce in base ai propri mezzi ai bisogni della comunità, non è un onesto cittadino e quindi non è un buon cristiano. L’onestà è anche giustizia. Il Signore è il giusto per eccellenza. Essere giusti, per noi, vuol dire anche essere accanto agli ultimi: dai poveri ai disoccupati, dalle famiglie in difficoltà ai migranti che fuggono dalla miseria e dalle guerre. Così l’essere “buoni cristiani e onesti cittadini” diventa anche una chiamata all’impegno nell’ambito socio-politico.
Cattolici e politica
Faccio mie le parole di papa Francesco che ha detto: “È necessaria una nuova presenza di cattolici in politica. Una nuova presenza che non implica solo nuovi volti nelle campagne elettorali, ma principalmente nuovi metodi che permettano di forgiare alternative che contemporaneamente siano critiche e costruttive”.
L’Italia ha più che mai bisogno di laici cattolici che abbiano un’identità salda e chiara, che sappiano dialogare con tutti, che siano in grado di costruire reti di impegno e che si assumano la responsabilità di rispondere alle “attese della povera gente”, direbbe Giorgio La Pira. La vita del sindaco “santo”, a cui sono particolarmente legato, è stata tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di carità.
E mi piace soffermarmi sul primo aspetto: la preghiera che è imprescindibile e irrinunciabile per il cristiano che si dedica alla cosa pubblica. Quando La Pira diceva che lo Spirito Santo gli chiedeva di salvare i posti di lavoro alla Pignone, non era un visionario o un ingenuo. La sua profezia era frutto della frequentazione quotidiana con Dio. Ecco perché sostengo che una rinnovata presenza dei cattolici nel panorama italiano debba partire dalla contemplazione.
Formazione nel Vangelo
È la fede che dona quella forza inesauribile e quel coraggio per affrontare le sfide più audaci e, all’occhio umano, talvolta impossibili. La Chiesa italiana, in questi anni, ha dedicato molto spazio alla riflessione sulla formazione alla “vita buona del Vangelo”, con particolare riferimento ai giovani che della Chiesa, come della società, sono la vera speranza. Si legge negli “Orientamenti pastorali 2010-2020”, che la “la comunità cristiana si rivolge ai giovani con fiducia: li cerca, li conosce e li stima; propone loro un cammino di crescita significativo.
I loro educatori devono essere ricchi di umanità, maestri, testimoni e compagni di strada, disposti a incontrarli là dove sono, ad ascoltarli, a ridestare le domande sul senso della vita e sul loro futuro, a sfidarli nel prendere sul serio la proposta cristiana, facendone esperienza nella comunità”.
D’altra parte, si sottolinea pure con insistenza che i giovani, “resi protagonisti del proprio cammino, orientati e guidati a un esercizio corresponsabile della libertà, possono davvero sospingere la storia verso un futuro di speranza”, e dare quindi un contributo notevole per il progresso della società e nel buon ordinamento delle istituzioni pubbliche. Nella storia della Chiesa nel nostro Paese si sono presentati grandi figure di formatori ed educatori, tra questi vi è senza dubbio Don Bosco.
Secondo l’esempio di Don Bosco
L’azione di questo grande santo si fonda sulla convinzione che occorra “illuminare la mente per irrobustire il cuore” e sull’intima percezione che “l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne mette in mano la chiave”.
Come comunità cristiana offriamo il nostro contributo perché nella società ci sia sempre più un terreno favorevole all’educazione. “Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie”.
Crediamo fermamente che l’essere dei buoni cristiani possa contribuire all’edificazione di una società più giusta e solidale, ancorata nella giustizia e nel rispetto di ciascuno. Come comunità ecclesiale accogliamo con fiducia iniziative o decisioni che vanno incontro alle esigenze della comunità, come siamo voce critica davanti a scelte o progetti che minano la persona e la società stessa, nel costante dialogo con tutti i protagonisti dell’agire sociale. Il bene comune è ciò che deve animare l’impegno di ciascuno.
Ed è il fine che don Bosco ha indicato con la sua azione profetica, quanto mai attuale, che anche qui a Perugia ha portato in un secolo straordinari frutti.
*Intervento per i 100 anni della presenza salesiana a Perugia 2 febbraio 2020