di Pier Giorgio Lignani
Come tutti gli indicatori che sono frutto di valutazioni convenzionali e di elaborazioni statistiche, anche il mitico Pil (il prodotto interno lordo annuo di ciascun Paese) ha un valore approssimativo e relativo; e così è anche per il Pil pro capite, che vuol misurare il livello del tenore di vita di un cittadino medio, sommando quanto guadagna, e poi spende, in un anno con il valore di quanto riceve dal suo Stato sotto forma di servizi pubblici. Ma per quanto questi calcoli siano approssimativi, quando si legge che il Pil pro capite della Corea del Sud è 40 volte (quaranta!) quello della Corea del Nord, c’è poco da girarci intorno: la prima è uno dei Paesi più benestanti del mondo, la seconda uno dei più poveri; e si tratta dello stesso popolo, forzosamente diviso in due da una linea di armistizio stabilita “provvisoriamente” nel 1953, dopo tre anni di una guerra che rischiava di diventare la terza guerra mondiale. La notizia di questi giorni è che, a sorpresa, fra le due Coree è cominciata una timida trattativa che, nell’immediato, riguarda la partecipazione alle prossime Olimpiadi invernali, ma potrebbe riguardare anche altro. La cosa è tanto più sorprendente perché avviene per iniziativa del dittatore del Nord, quel giovanotto obeso che, come già suo padre, governa in nome del nonno, il “presidente eterno” ufficialmente sempre in carica. E questo è accaduto dopo diversi anni che il terzo Kim tiene il mondo con il fiato sospeso con i suoi missili atomici. Con personaggi del genere è obbligatorio essere cauti, anzi scettici; anche Hitler, mentre si preparava a sottomettere l’intera Europa (impresa che gli sarebbe quasi riuscita), alternava le intimidazioni con le offerte di pace. Ma, all’inizio dell’anno nuovo, viene spontaneo un po’ di ottimismo: vuoi vedere che Kim è meno pazzo di quello che sembra, e che, ora che ha fatto paura a tutto il mondo con la sua forza militare, si occuperà finalmente di far vivere un po’ meglio i suoi sudditi?
Bisogna essere prudenti come i serpenti, ma permettiamoci anche il lusso di un po’ di speranza.