È quasi inutile dire che il Cantico dei cantici non è esattamente come il regista premio Oscar Roberto Benigni ne ha parlato a Sanremo. Come già è stato osservato dalla biblista Rosalba Manes sul sito dell’agenzia Sir della Cei, il Cantico non è entrato nel canone biblico “per distrazione”, anche perché aggiungiamo noi – è una delle tante pagine della Bibbia che parla di amore ed eros.
Come mai il Cantico è nella Bibbia
Nelle Scritture di Israele, infatti, vi è un’attenzione costante alla vita degli uomini e delle donne, e il tema dell’amore (anche umano) non poteva certo mancare: basterà ricordare i racconti di innamoramento dei Patriarchi vicino ai pozzi d’acqua, narrati nel libro della Genesi, o la storia d’amore di Davide e Micol, così complicata e descritta fin nei minimi particolari nei libri di Samuele.
Se il Cantico non ci fosse stato, insomma, si sarebbe dovuto inventare. Certo, tranne forse che in un versetto, e comunque in modo indiretto (8,6: “fiamma divina” o “fiamma fortissima”, come altri traducono?), Dio nel Cantico non è mai nominato, ma ciò non ha rappresentato un ostacolo a che il testo venisse accolto tra i libri che “sporcano le mani”. Del resto, lo stesso è avvenuto per il libro di Ester, dove mai, nel testo ebraico, ricorre il nome di Dio.
Il ruolo del Cantico nella tradizione ebraica è talmente importante che veniva letto e ancora è proclamato in sinagoga per la festa di Pasqua, non solo per l’ambientazione del libro in primavera e la collocazione della festa nella stessa stagione: il testo si presta a descrivere il rapporto d’amore che Dio ha per il suo popolo, che per questo viene liberato dall’Egitto.
Il monologo di Benigni: quali le inesattezze
Benigni ha anche esagerato nella traduzione e nell’interpretazione di alcune parole o espressioni, accentuandone la portata erotica.
Certamente, è innegabile – come la Manes ha ancora notato – che nel Cantico si parli di “sessualità con una carica erotica molto forte, ma anche dell’amore come maturazione dell’eros e donazione totale di sé nell’essere per l’altro”, e in ogni caso, continua l’esegeta – diversamente da quello che si intende dalle parole di Benigni – “non si tratta del canto del libero amore, di un amore che si sottrae a ogni regola o di amori estranei all’orizzonte biblico, ma dell’amore tra l’uomo e la donna”.
Più precisamente, alcune espressioni che Benigni ha pronunciato sono state estratte dalla traduzione che del Cantico fece l’ebraista Giovanni Garbini nel 1992 (per l’editore Paideia), che pretendeva di giungere addirittura a un ipotetico testo ebraico originale, precedente a quello fissato poi dai rabbini. Basterà leggere il commento di un autorevole studioso, Gianni Barbiero, per chiarire che “l’evidenza va contro questa operazione”, e che alcune espressioni recitate da Benigni dal testo di Garbini sono fantasiose e tendenziose.
Le frasi del Cantico recitate da Benigni, infatti, derivano dall’idea di Garbini che “ha voluto cambiare la lettera del Cantico, come se il suo testo attuale fosse stato deprivato della sua carica erotica da mani puritane” (così G. Barbiero, Song of Songs, 2011).
Il monologo di Benigni: gli aspetti positivi
Ciononostante, molte delle cose che diversi milioni di italiani hanno ascoltato da Benigni sul Cantico sono condivisibili. La nudità dei corpi dei due amanti, ad esempio, nel libro è davvero accentuata, e – scrive nel suo bel commentario Luca Mazzinghi – “è assolutamente reale, specialmente la nudità del corpo di lei, che doveva a molti apparire persino scandalosa già nel tempo in cui il Cantico è stato scritto.
Essa è certamente una delle espressioni privilegiate dell’amore dei due amanti, come la coppia originaria dell’Eden, perché dal loro amore è assente la cupa ombra dell’egoismo e del possesso”.
Si può allora anche dire che l’operazione assolutamente non convenzionale del noto attore sia un buon punto di partenza per conoscere la Bibbia e rapportarla all’esperienza umana, paragonabile a quanto già altri avevano fatto, anche recentemente, come Franco Battiato nella sua canzone Come un sigillo (dall’album Fleurs 3 del 2002, un’allusione a Cantico 8,6, “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio”), con risultati, anche in questo caso, a tratti criticabili per l’asprezza di alcune espressioni.
Ma si può sempre partire anche da qualcosa di imperfetto. Si tratterà poi di chiarire e magari anche di correggere, ma almeno si deve dire che molti hanno sentito – probabilmente per la prima volta! – le parole d’amore del Cantico dei cantici, e soprattutto hanno capito che la Bibbia parla della vita vera, dell’amore, della sessualità, delle relazioni, e non solo – come è ovvio e tutti già sanno – di Dio.
Forse da questo evento mediatico anche noi Chiesa dovremmo imparare a osare nel parlare di più con le parole della Bibbia, senza aggiungere troppe nostre inutili parole: siamo sicuri che le prime incroceranno molto meglio le storie delle persone.
Giulio Michelini
Biblista e Preside dell’Istituto teologico di Assisi