Benigni: una prova di forza

Sì, penso che sia stata soprattutto una prova di forza. Parlo della trasmissione televisiva che Roberto Benigni ha dedicato alla presentazione dei Dieci Comandamenti la sera di sabato 9 maggio u.s.. Una prova di forza. Tanto più perché l’aveva già fatta, quella presentazione, nel 2014.

“Voglio vedere se il mio pubblico regge ancora un mio monologo lungo un po’ più di tre ore e mezza!” Ha retto, quel pubblico, e ha continuato ad applaudire, ininterrottamente, dalle 20,30 alle 24 e oltre. Prova di forza riuscita, perché la vis comunicativa di Benigni ti coinvolge anche quando parla di zecche e pappataci, ma soprattutto perché giustificava lo spreco di aggettivi superlativi con la grande capacità di cogliere la sostanza di profonda umanità e di straordinaria attualità presente in ognuna delle Dieci Parole che Dio lanciò nella storia dal Mone Sinai.

“Profonda umanità”. Particolarmente intensa nella presentazione del quarto comandamento; “Onora il padre e la madre”: sono venuti a galla i ricordi personali; e con essi la forza morale, elementare ma di grande spessore, della famiglia contadina dei temi andati, con la sua capacità di apprezzare le cose della vita per quello che valgono: da questa istanza ideale di quella famiglia, che è stata anche la sua, è nato l’artista Benigni.
“Straordinaria attualità”. Quel commento al nono comandamento, “Non desiderare la roba d’altri”, con quel ripetuto, shockante ritornello; “Rubano e non se ne vergognano, rubano e se ne vantano!!”

“Me la faranno pagare, o mi faranno cardinale?” ti sei chiesto: niente, Roberto non se ne farà niente. Non c’è motivo per farlo. Ti saremo sempre grati per l’intensità morale che hai colto nelle tavole del Sinai, ma…

Ma vedi, quella è solo una tappa della storia che inizia con Adamo a finisce nella valle di Giosafat: la storia della salvezza. Una storia all’interno della quale le dieci parole date a Mosè rappresentano una tappa, di perenne validità, certo, ma solo una tappa.
Verrà il tempo in cui l’uomo di Nazareth, e sulla sua scia, ma con particolare vigore, Paolo di Tarso relativizzerà la legge a favore della Grazia.

Il tempo in cui, senza dimenticarle, anzi, proprio grazie anche ad esse, Agostino compendierà tutto in quattro parole: “Ama et fac quod vis!”. Tutto il resto sarà sempre e soltanto esemplificazione. Le Dieci Parole potevano essere anche dodici, o anche sette: l’importante che si potesse giungere alle quattro parole di Agostino.