Nell’ambiente dei Frati minori spesso si sente ripetere ‘ a modo di slogan – ‘ma noi non siamo benedettini’, volendo con ciò rimarcare una propria identità che differenzia dall’esperienza monastica benedettina. A volte si contrappone la severità dell’ascetica monastica benedettina all’allegria francescana, come se san Benedetto e san Francesco fossero al massimo due universi paralleli. Ultimamente, poi, alcuni hanno voluto contrapporre a una pace assisana un’altra idea di pace sbandierata a Norcia davanti alla basilica di San Benedetto. Certamente questi confronti ‘ che a volte assurgono a scontri ‘ spesso si appellano ad un mondo più immaginario che reale e per questo è necessario affrontare il confronto tra i due santi in modo il più possibile libero da ideologie preconcette. Chi è addentro alle fonti francescane, volendo affermare la novità di frate Francesco d’Assisi rispetto a Benedetto da Norcia, si appella soprattutto a un brano della Compilatio Assisiensis in cui si narra che durante un capitolo svoltosi alla Porziuncola in cui l’argomento di discussione era la stesura della regola minoritica, alcuni frati proposero a Francesco, mediante il cardinale Ugolino, di adottare alcune forme di vita religiosa precedenti. Davanti a tale proposta avanzata da frati sapienti, ossia acculturati, il nostro racconto narra che Francesco fu categorico nel rifiutare la proposta di adottare le regole a lui precedenti e disse: ‘Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre regole, né quella di sant’Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’: e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!’ (FF 1564). Davanti ad una affermazione così perentoria di rifiuto delle regole precedenti, compresa quella di Benedetto, sembra preclusa qualsiasi possibilità di una continuità tra il Santo di Norcia e frate Francesco. Tuttavia ad una analisi più approfondita le cose risultano diverse. La grandezza della Regola di san Benedetto non sta tanto nell’apporto di novità, quanto nella capacità di fare sintesi delle diverse esperienze monastiche precedenti in una sorta di lettura sapienziale. Infatti essa termina affermando che suo scopo è quello di indicare ‘un inizio di vita religiosa’ rimandando, ‘per chi vuole incamminarsi verso la perfezione’, agli insegnamenti dei santi padri, soprattutto alle opere di Giovanni Cassiano e alla ‘Regola del nostro santo padre Basilio’, riferimento del monachesimo orientale. Quindi Benedetto rimanda alla precedente sapienza monastica vissuta soprattutto dai monaci d’Oriente ‘ particolarmente in Egitto con sant’Antonio abate la cui vita scritta da sant’Atanasio divenne riferimento costante per i monaci ‘ e fatta conoscere nell’Occidente latino da Giovanni Cassiano. In questa tradizione monastica un punto essenziale era la valorizzazione del lavoro come antidoto all’ozio: se il monaco doveva innanzitutto dedicarsi all’opus Dei, ossia alla preghiera, tuttavia uno spazio considerevole della giornata era dedicato al lavoro. Tale valorizzazione del lavoro per fini ascetici vissuta e teorizzata dal monachesimo orientale, fu fatta conoscere in Occidente – dove certe comunità monastiche invece davano poca importanza al lavoro – da Giovanni Cassiano e fatta propria dalla Regola di san Benedetto. Questa indicazione della Regola benedettina secondo cui i monaci devono lavorare per vincere l’ozio è stato visto come un fattore così caratterizzante della vita monastica tanto da sintetizzare l’ideale di san Benedetto nell’espressione ora et labora. Francesco d’Assisi nel 1226, poco prima di morire, sintetizzando la sua esperienza cristiana nel Testamento afferma che importante fu il lavoro, tanto da ordinare ai frati che se qualcuno non sa lavorare deve imparare. Il lavoro è presentato come uno dei punti portanti non solo della sua vita, ma anche della Regola dei frati Minori. E quando Francesco sempre nel Testamento vuole indicare il motivo per cui i frati devono lavorare rimanda a quanto già espresso nelle diverse formulazioni della Regola dei Frati Minori, ossia per motivi ascetici, cioè onde scacciare l’ozio. E così, in modo quasi paradossale, proprio il frate Francesco che dichiarò davanti ai frati di non voler adottare la Regola benedettina, fece proprio uno dei punti centrali dell’esperienza del monaco san Benedetto da Norcia! Una delle colonne della spiritualità francescana, ossia il lavoro a cui la Regola minoritica dedica un capitolo, proviene nientemeno che dalla Regola benedettina. Per dirla mediante un detto, ciò che fu scacciato dalla porta è rientrato dalla finestra! Ciò non significa che frate Francesco d’Assisi fu un monaco benedettino, come è dipinto nel Sacro Speco benedettino di Subiaco in una delle sue immagini più antiche, ma che anche lui visse dentro una storia che lo ha preceduto, dalla quale ha attinto alcune cose, altre le ha rifiutate ‘ o più semplicemente ignorate ‘ e altre le ha riformulate. E tra quelle che ha accettato vi è l’insegnamento che san Benedetto attinse dalla tradizione monastica a lui precedente secondo cui il lavoro è uno dei mezzi con cui l’uomo può vincere l’ozio e vivere nella costante memoria della presenza di Cristo nella storia. Proprio quell’insegnamento che rese i monaci benedettini capaci di costruire l’Europa ‘rendendo il quotidiano eroico e l’eroico quotidiano’ e che spinse i frati francescani tra le altre cose ad un lavoro costante e fedele soprattutto nella missione evangelizzatrice di pace.
Benedetto e Francesco: due santi a confronto
L'antica Regola benedettina e la 'novità' francescana. Più simili di quanto si pensi
AUTORE:
Pietro Messa ofm