Grande protagonista dell’Avvento, accanto al Battista, è Maria. Giovanni ha annunciato Cristo, Maria lo ha portato. Il Vangelo di oggi ci dice che primo destinatario di questo dono è proprio quel Giovanni che abbiamo incontrato nelle domeniche precedenti, ormai adulto, sulla riva sinistra del Giordano. Questi ha percorso in lungo e largo la regione oltre il fiume, la Perea, che non faceva parte della terra promessa. Maria percorre le strade della Galilea e della Giudea da nord a sud, le strade della vera terra dei padri, quella di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Alla vigilia di Natale siamo invitati a guardare questa donna meravigliosa che porta a tutti Gesù. Quello di Maria è il viaggio della carità. Si era definita ‘la serva del Signore’ e subito si fa serva degli uomini nella logica del Vangelo.
La scena dell’annunciazione (Lc 1,26-38) illustra il comandamento dell’amore di Dio; quello della Visitazione, che segue immediatamente, illustra il comandamento gemello dell’amore del prossimo. Maria qui insegna che servire il prossimo nel bisogno vale più di ogni pratica ascetica e di ogni devozione. Con lei nasce il servizio come stile di vita cristiana. In lei lo stesso Gesù inizia il suo pellegrinaggio di carità tra gli uomini, quasi avesse fretta di cominciare. Si serve dei piedi e delle mani di sua madre, non potendo ancora usare i suoi. Nessuno ha chiesto a Maria di correre in aiuto di questa sua anziana parente già al sesto mese di gravidanza. Il suo è un gesto spontaneo, un’iniziativa tutta personale, dovuta alla sua spiccata sensibilità; un gesto compiuto con quella “fretta” interiore che mette le ali ai piedi di chi si sente interiormente sollecitato dall’urgenza. Oggi non ci rendiamo sufficientemente conto delle difficoltà di un simile viaggio. Prima di tutto difficoltà psicologiche: Maria è sposata con Giuseppe, anche se ancora non ha fatto il suo ingresso nella casa maritale.
L’intervallo tra il primo e il secondo tempo del matrimonio era di circa un anno; durante questo periodo la ragazza, moglie a tutti gli effetti, non poteva allontanarsi dalla casa dei genitori, chiusa in una specie di clausura, ad evitare spiacevoli sorprese in una società rigidamente maschilista e sospettosa. Il fatto che Maria abbia ignorato queste regole sociali così strette e obbliganti, la dice lunga sulla sua forza di volontà e sulla sua capacità di iniziativa. Ha sovvertito l’ordine sociale di un paesino chiuso, gettando scandalo e sconcerto su tutti i suoi rudi abitanti. A questo si aggiungano le difficoltà logistiche di un viaggio lungo 150 km, che richiedeva circa quattro giorni di cammino faticoso su strade di montagna sterrate e sconnesse, esposto a tutti i rischi di una carovana che, la notte, bivaccava all’aperto sotto le stelle. Ma non sono queste le difficoltà capaci di dissuadere o frenare chi è spinto dall’amore che gli urge dentro. Una donna di questo calibro è mille miglia lontana dalle immagini dolciastre di certa facile devozione mariana. Gesù ha scelto una donna forte, decisa e sensibile come madre.
L’attenzione dell’evangelista è tutta centrata sull’incontro delle due madri. Com’era consuetudine, la giovane saluta per prima l’anziana con tutti convenevoli del caso che l’evangelista non descrive; il saluto era addirittura un rito. Ancora una volta è ‘la voce’ il primo veicolo dell’annuncio di Cristo, come aveva dimostrato Giovanni nelle domeniche precedenti. Solo che qui la voce non è solo lo strumento dell’annuncio di un avvento, sia pure prossimo, ma è la veicolo di ingresso del Salvatore nella casa e nel cuore del futuro precursore. La voce di Maria ha preceduto la voce del Battista. “La serva del Signore” è il primo veicolo della venuta del Salvatore tanto atteso. Dietro il conversare delle madri c’è l’incontro dei due bambini non nati. Un incontro consapevole espresso dai sobbalzi di gioia di Giovanni ancora nel grembo. Più tardi egli tradurrà questo ricordo ancestrale così: “L’amico dello sposo, che è presente ed ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta” (Gv 3,29).
L’incontro delle due madri mette in luce la grandezza di Maria, descritta in tre esclamazioni di Elisabetta e dal canto della Madre stessa del Signore. Elisabetta accoglie la sua cugina con una benedizione che esprime la riconoscenza a lei e a Dio che gliel’ha inviata: “Benedetta tu fra le donne”. Quella donna è una creatura privilegiata, eccezionale tra tutte le donne del mondo, perché “benedetto è il frutto del suo grembo”. Benedetta perché madre. La grandezza di Maria viene esclusivamente dal suo privilegio di essere la madre del Figlio di Dio. Brilla di luce riflessa, non di luce propria. Perciò Elisabetta si affretta a definirla “la madre del mio Signore” con un grido spontaneo di meraviglia e di sorpresa. È colta dal lieto stupore di essere visitata da questa donna così grande. Al saluto di Maria è investita dalla pienezza dello Spirito santo che in lei abita fin dal giorno dell’Annunciazione, e ha capito con chi aveva a che fare. Quella donna venuta da Nazareth a farle da serva è la madre del suo Signore, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Anche la sua creatura ha trasalito di gioia nel grembo. Ambedue hanno sentito la presenza viva di Dio in loro. L’angelo aveva annunciato a Zaccaria che il suo bambino sarebbe stato “riempito di Spirito santo fin dal grembo di sua madre” (Lc 1,16).
La consacrazione profetica attesa ora si compie alla voce di Maria, divenuta veicolo del carisma profetico che la abita. Madre e figlio sono costituiti profeti dell’Altissimo. A questo punto Elisabetta non può fare a meno di proclamare la beatitudine di Maria, prima credente della storia cristiana: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. In queste parole c’è una punta di rimpianto per l’incredulità di Zaccaria, il suo uomo, rimasto muto perché incredulo. Maria ha creduto prontamente e ora parla con la sua voce carica di grazia; è benedetta come madre e beata come credente. La benedizione è puro dono gratuito di Dio, la beatitudine è risposta umana di adesione. Quella delle fede è la prima e l’ultima beatitudine del Vangelo, che si chiude con queste parole del risorto a Tommaso: “Beati quelli che credono senza vedere” (Gv 20,28).
Al canto profetico di Elisabetta segue il canto profetico di Maria, quello che noi indichiamo con la prima parola del teso latino come il Magnificat. È il suo discorso più lungo e tradisce la sua abitudine di parlare spesso e a lungo con Dio. Raccoglie la voce dei patriarchi e dei profeti che hanno atteso con gioia impaziente il bambino che ora abita in lei. Lo dicono i numerosi riferimenti biblici dei quali è composto, quasi un centinaio. È un grido spontaneo di gioia che sgorga incontenibile dall’anima di Maria, che in casa dell’anziana parente si trova ormai allo scoperto. Proclama la grandezza del Signore, grida la sua felicità di madre che porta in sé il suo Salvatore. Sente di essere una donna privilegiata, un capolavoro di Dio.
Non c’è più spazio ormai per una falsa modestia. Dio l’ha collocata al centro della storia insieme con il Figlio che porta in grembo. La sua estrema piccolezza si è cambiata in una vertiginosa grandezza. Tutte le generazioni la chiameranno beata, perché Dio ha fatto in lei cose grandi. Alla vigilia del Natale queste parole appaiono incredibilmente vere e attuali. Non resta che farsele risuonare nel cuore con infinita riconoscenza.