Giovanni era ormai in carcere, messo a tacere da Erode Antipa al quale rimproverava apertamente la sua condotta scandalosa. Aveva tuonato contro farisei e sadducei, alleati di un potere ingiusto, che scendevano a compromessi con i potenti per quieto vivere. Da questi non poteva certo sperare aiuto. Intanto “colui che stava per venire”, il Messia da lui annunciato, aveva fatto il suo ingresso sulla scena pubblica, ma sembrava non avere nessuna intenzione di usare la scure e il ventilabro per ripulire la società dai malvagi (3,10-12). Allora il profeta irruente e focoso entra in crisi.
Anche le anime più grandi sono attraversate dal dubbio, rischiando di cadere nella notte dello spirito. È accaduto recentemente anche a Madre Teresa di Calcutta, come riferisce il suo diario. Allora la fede, fino allora sicura, si riempie di interrogativi angoscianti. Ci si domanda: se Dio esiste, perché non si fa sentire, non lancia un messaggio? Soprattutto, perché non interviene come ci aspetteremmo? È questa, in fondo, la domanda del Battista, che partecipa alle aspettative del suo popolo. Tutti attendevano un Messia potente che avrebbe distrutto il male con la forza e stabilito un regno di soli giusti. Quella scure vibrata con forza, quel ventilabro che getta in aria il grano per separarlo dalla pula, roteava nelle mente di molti. Perciò l’agire di Gesù risultò deludente e inaccettabile a molti, che lo condannarono a morte. Dio non si comporta come vogliamo noi, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Questo a volte ci scandalizza.
È giusto che sia così, per noi portati a crearci idoli su misura. Il Battista ha sentito parlare di ciò che Gesù sta facendo. Nella sua mente, la cosa non gli quadra. Apre allora un’inchiesta per saperne di più e manda i suoi discepoli ad interrogarlo per onestà intellettuale: “Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?”. Le opere che Gesù compie gli sembrano troppo modeste a confronto delle aspettative che lui aveva suscitato sulle rive del Giordano. Colui che viene (in greco ho erchòmenos), cioè il Messia atteso, è lui, Gesù, o si deve aspettare ancora? Giovanni lo aveva presentato come “il più potente, al quale non si reputava degno di infilare i sandali” (3,11). Si era sbagliato? Gesù non risponde direttamente alla domanda posta in questi termini; invita i discepoli del Battista a udire e guardare ciò che lui dice e opera, e riferire poi al loro maestro. Matteo ci ha raccontato nei tre capitoli precedenti (cc. 8-10) ben dieci miracoli compiuti da Gesù, tanti quanti erano i prodigi operati da Dio in Egitto al momento della liberazione del suo popolo (Esodo cc. 7-11).
Si riteneva che il Messia, per farsi riconoscere, avrebbe ripetuto i prodigi dell’Esodo. “Eccovi serviti!”, sembra dire l’evangelista ai suoi connazionali convertiti. Il Messia, nella persona di Gesù, è venuto a liberare il suo popolo. Se non basta il libro della Torah di Mosè, ecco la testimonianza dei profeti, specie Isaia, il profeta dell’Avvento che leggiamo nelle prime letture di queste domeniche. Oggi proprio lui sembra suggerire la risposta giusta a Gesù: “Coraggio, non temete, ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno le orecchie dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto” (Is 35,4-7). Proprio da questo e da altri testi simili Gesù ricava la sua risposta, in sei frasi ritmiche facili da ricordare. Questo deve rassicurare Giovanni, buon conoscitore dei testi sacri, perché queste sono le credenziali del Messia da lui annunciato. Il punto centrale della prova sta nell’annuncio del Vangelo ai poveri, cioè agli ultimi, come dirà Gesù nella sinagoga di Nazareth inaugurando il suo ministero con un’altra citazione di Isaia (Lc 4,16-21).
Non sappiamo se la risposta data, alla luce dei fatti uditi e visti, abbia acquietato il Battista e risolto la sua crisi. Possiamo pensare che ciò sia avvenuto, viste le parole di elogio dette da Gesù dopo la partenza dei discepoli di Giovanni. Traccia uno schizzo del Battista che è molto vicino alla linea messianica seguita da Gesù. L’elogio è introdotto pedagogicamente con tre domande retoriche, che si appellano all’esperienza degli ascoltatori che hanno conosciuto il Precursore. Giovanni non è un uomo pauroso e incerto come canna sbattuta dal vento, è un uomo tutto d’un pezzo. Non è un raffinato damerino di corte, ma un asceta povero, austero, severo, che indossava una veste ruvida di peli di cammello. Non è un semplice profeta, come quelli che sono apparsi prima di lui, ma è più che un profeta, perché non ha indicato il Messia da lontano, ma lo ha indicato con il dito. È il precursore annunciato dal profeta Malachia, e che i contemporanei identificavano con Elia redivivo.
Elia era stato rapito in cielo in un carro di fuoco (2 Re 2,11), tutti aspettavano che tornasse per annunciare la venuta del Messia. Nella cena di Pasqua gli ebrei del tempo lasciano una sedia vuota, in fiduciosa attesa del ritorno di Elia. Gesù aveva dichiarato che il grande profeta di fuoco si identificava col Battista: “Se lo volete accettare, egli è quel Elia che deve venire”. Questo ingigantisce la sua figura profetica. Con un’introduzione solenne (“in verità vi dico”) Gesù pronuncia poi una frase che suona misteriosa: “Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. La prima parte della definizione del Battista non suscita problemi: egli era stato presentato come più grande dei profeti, il che era tutto dire. La sua grandezza profetica lo metteva a confronto con Mosè e con Elia, per superarla di larga misura.
Era indubbiamente il più grande degli uomini fino allora vissuti sulla faccia della terra. Non si potrebbe dire di più. Ciò che fa difficoltà, perché ridimensiona la frase appena pronunciata, è il confronto con “il più piccolo nel regno dei cieli” che è più grande di lui. Qualcuno a torto vi ha visto il paragone con Gesù, da Giovanni definito “il più forte”, e che invece si è fatto il più piccolo e il servo di tutti (Mt 20,28). In realtà sono messi a confronto due ordini di grandezza, quello dei “nati da donna” e quello dei “nati da Dio”. Giovanni appartiene alla prima grandezza, non paragonabile alla dignità dei battezzati. Giovanni appartiene all’Antico Testamento, il cristiano appartiene al Nuovo Testamento. Egli rimane di là del Giordano, come fa capire il Vangelo di Luca (3,3): non è entrato nella terra messianica. Sono i paradossi di Dio, che non devono scandalizzare un credente.