Bambini senza reni: ci sono speranze concrete

Un medico analizza il caso del piccolo Davide, in Puglia. E ricorda un fatto

È un dramma nel dramma. Il neonato Davide Marasco viene al mondo con la sindrome di Potter, che si caratterizza per l’assenza di entrambi i reni e ureteri, vescica poco sviluppata e malformazioni polmonari. Una malattia che non lascia speranza. L’Oms asserisce che qualsiasi attività e pratica medica intensiva deve essere ritenuta inutile ed inopportuna. Con questo messaggio i medici si presentano ai genitori di Davide: ‘Non ci sono speranze’. Le speranze sembrano invece attivarsi dopo qualche giorno dalla nascita, quando ‘il bimbo respira da solo’. Ed allora nuovo messaggio ai genitori: ‘Il neonato può vivere se attaccato alla macchina della dialisi’, da effettuarsi in un centro specializzato (Bari). I genitori chiedono qualche ora per pensarci prima del trasferimento da Foggia, ove Davide è nato, a Bari. Questa titubanza, interpretata come volontà di ‘non infliggere dolore inutile’, fa attivare il Tribunale, che toglie la patria potestà ai genitori e nomina il tutore – un medico ‘ che trasferisce a Bari Davide, il quale inizia subito la dialisi (12 ore al giorno). Il secondo dramma cade ancora sui genitori, che si vedono così privati della patria potestà, che peraltro riacquistano dopo qualche giorno. Come sempre l’Italia si divide in due. Non è giusto far soffrire un bimbo che non ha speranza di vita con un atteggiamento medico che sfiora l’accanimento terapeutico. Per altri invece le cure vanno continuate poiché finché c’è vita c’è speranza. E su questo dilemma voglio dirvi come la penso io, rifacendomi alla mia esperienza di nefrologo che si imbatte in un problema sovrapponibile a quello di Davide. Quattordici anni fa. Giulio nasce prematuramente – pesa meno di un chilogrammo – con una sindrome che colpisce i reni, che perdono subito la loro funzione. Si pensa subito alla dialisi: la prematurità e il peso di Giulio indicano la tecnica peritoneale. Si spiega ai genitori che le possibilità di sopravvivenza sono minime. Ottenuto il consenso, i medici iniziano a praticare la dialisi peritoneale, agendo a fin di bene, che esclude l’equazione utile = bene, cioè un’etica utilitaristica. Il bene è per Giulio, l’utile per nessuno. Si intravede subito una strada in salita per le numerose complicanze: peritoniti, fuoriuscita di ernia inguinale, che richiede l’intervento chirurgico per poter continuare la dialisi peritoneale. Malgrado tutto, la tecnica dialitica comincia a dar frutti: il bimbo cresce di peso. La madre è determinata più che mai ad apprendere la tecnica dialitica, che continua a domicilio. Arriva il momento delle dimissioni; intanto sono trascorsi quattro mesi, sempre in ospedale madre e figlio. A casa trovano la macchina dialitica già installata: è identica a quella usata in ospedale. Trovano un’altra équipe di medici che, in collaborazione con quella dell’ospedale, segue più da vicino le condizioni cliniche del bambino. L’équipe medica era quella che io dirigevo negli ospedali di Foligno e Spoleto. All’età di 4 anni Giulio è stato sottoposto a trapianto renale: è andato male. Di nuovo dialisi, questa volta emodialisi. Giulio è cresciuto. È andato a scuola, oggi frequenta la terza media. Il suo profitto è sovrapponibile a quello degli altri alunni, con i quali condivide studio e giochi, anche se tre volte alla settimana si sottopone a dialisi. E doveva morire quando pesava meno di un chilo. Speriamo in un secondo trapianto. Per Davide spero in un primo. Così avete capito le motivazioni della mia speranza sulla sua vicenda di bambino senza reni.

AUTORE: Mario Timio