In Sant’Ubaldo, patrono di Gubbio, di cui mercoledì si è festeggiata la memoria, nel ‘suo essere servitore della comunità ecclesiale e civile’ ed in particolare nel segno di croce tracciato dal Santo, che pose fine all’assedio di Gubbio da parte delle città nemiche, ‘c’è una forte carica di esemplarità’ che ‘molto può insegnare anche per la condizione odierna della nostra società’. Lo ha detto nella cattedrale di Gubbio mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, nell’omelia del pontificale per la festa del patrono. ‘Nuovi nemici – ha osservato il presule – tentano di espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento e di creare turbamento alla loro vita’. Questi nuovi nemici si chiamano ‘il nichilismo e il relativismo, che in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni nella nostra cultura’; fanno dell’embrione ‘un materiale disponibile per sperimentazioni mediche’; ‘danno copertura legale al crimine dell’aborto e si apprestano a farlo per le pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dell’inizio e della fine della vita umana’; introducono il concetto ‘apparentemente innocuo’ di qualità della vita, che ‘innesca l’emarginazione e la condanna dei più deboli e svantaggiati’; coltivano ‘sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo’. Nichilismo e relativismo, ha aggiunto mons. Betori, ‘delimitano gli spazi del riconoscimento dell’altro, chiudendo all’accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione’; ‘negano possibilità di crescita per tutti, mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale’; ‘oscurano la verità della dualità sessuale’; ‘scardinano la natura stessa della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna’. A giudizio del presule, ‘occorre avere consapevolezza di questa battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità, e di quanto essa sia decisiva per il futuro della società, ma occorre anche riconoscere che può salvarci solo il riferimento al Dio creatore e alla sua legge scritta nei nostri cuori’. Come Sant’Ubaldo ‘si colloca al di sopra di una visione puramente umana delle cose e si pone nella prospettiva di Dio, altrettanto anche noi oggi siamo chiamati – ha osservato Betori – a discernere e giudicare il presente con gli occhi di Dio e a chiedere a tutti, credenti e non credenti, di fare altrettanto se vogliamo salvare il nostro futuro. A vivere tutti, come ci ha invitato Benedetto XVI, etsi Deus daretur, ‘come se Dio esistesse’, ribaltando l’ipotesi che ha retto il pensiero e l’agire della modernità, l’etsi Deus non daretur, il ‘come se Dio non ci fosse’ che ha prodotto i forni di Auschwitz e i gulag della Siberia’. ‘Se vogliamo difendere il vero volto dell’uomo – ha ribadito mons. Betori – abbiamo bisogno di riscoprire il volto di Dio. E il volto di Dio è l’amore’. Non però ‘l’amore debole che nasconde la verità, che crea ambiguità sotto il velo della falsa tolleranza, bensì quello esigente che non rinuncia a ferire per curare, a distinguere per poter allacciare ponti veri e non a voler rendere tutto fittiziamente omologo, a richiamare alla responsabilità senza indulgere in un buonismo alla fine perdente’. ‘Solo da questa carità nella verità – ha aggiunto – può scaturire quella capacità di costruzione della comunione che segna tante vicende della vita di sant’Ubaldo e che la seconda lettura, tratta dalla Lettera di san Paolo agli Efesini, descrive nei termini della benevolenza, della misericordia, del perdono, della carità a imitazione di Cristo’. A giudizio del presule, ‘questa visione alta della carità, che non rinuncia alla verità, ma proprio per questo è capace di generare progetti di novità di vita nella sfera individuale e in quella sociale, è ciò che è chiesto oggi ai cattolici’.