Baghdad. No al trionfo della paura

Abbiamo appena fatto in tempo a mettere in pagina un articolo dai toni cauti, ma positivi sulla costituzione irakena finalmente firmata anche se solo da curdi sciiti, che giunge improvvisa la notizia della morte di più di mille persone, soprattutto donne e bambini, colpite da un uragano di panico durante un pellegrinaggio religioso. Da tempo stiamo con la mente attaccata alla città di Baghdad. Da troppo tempo: dalla tirannia di Saddam Hussein, dall’embargo, dalla guerra del Golfo, dalla guerra preventiva degli Usa, con la sensazione e la speranza di trovarci ad una svolta. Si è avuta questa sensazione quando abbiamo visto la statua di Saddam inclinata e poi definitivamente caduta e poi quando lo hanno tirato fuori da una buca ed esibito con la folta capigliatura e poi quando sono state fatte le elezioni, e ancora adesso con la carta costituzionale pronta per il referendum popolare di ottobre. Insomma tanti momenti, ognuno decisivo. Quanta fatica e quanto dolore nella storia di questo paese vissuta insieme agli irakeni e al mondo. Insieme anche agli americani che hanno pagato un alto prezzo di vite umane. Ora la tragedia è tutta interna all’Islàm. Questo si deve dire per comprendere la svolta epocale che questo mondo sta vivendo, come una sfida decisiva e irreversibile della sua storia. È lo spartiacque tra le due posizioni che si contrappongono all’interno di questo mondo: entrare nella modernità riformando l’Islàm oppure ‘islamizzare’ la modernità sottoponendola alla integrale legge coranica. Un tentativo di mediazione e conciliazione non riesce finora a decollare. L’attuale tragedia provocata dolosamente, come gli atti di terrorismo, vuol fermare il cammino verso la democrazia e la modernità e ci obbliga anche a riflettere che i musulmani, come alcuni continuano a pensare anche nei nostri ambienti occidentali, non sono schierati tutti da una parte, dalla parte dei terroristi assassini. Li troviamo in numero enorme tra le vittime. Hanno fatto una tetra impressione le migliaia di scarpe rimaste davanti alla moschea – mausoleo di Al-Qadhim, attorno alla quale si era raccolta la folla. Presi dal panico allo scoppio di alcuni colpi di mortaio e alla voce diffusa ad arte da qualche terrorista, manovrato da Al-Zarqawi, che stava per farsi saltare uno o due kamikatze, tutti sono fuggiti spinti da una furia irresistibile. L’irresistibile impulso del panico che ha seminato la morte. Nessuna bomba, solo la paura allo stato spettrale, che ha scagliato gli uni addosso agli altri, in massa, travolgendosi, calpestandosi e uccidendosi a vicenda. Un ponte sul fiume Tigri è crollato sotto il peso dei fuggiaschi. Il patriarca dei Caldei, Emmanuel III Delly, in una lettera ai ‘confratelli musulmani iracheni’ ha espresso la solidarietà verso la popolazione sciita colpita dalla disgrazia proprio nel momento felice di una festa tradizionale in onore del 7’Imam, un personaggio tra i più venerati dagli sciiti. ‘Viviamo nella paura – aggiunge – tutti abbiamo paura, io ho paura, ma bisogna continuare a vivere per il futuro del nostro Paese’.

AUTORE: Elio Bromuri