Il brano evangelico che inaugura il tempo di Avvento di quest’anno contiene una serie di avvertimenti sul vegliare e vigilare, perché non si può sapere in anticipo l’arrivo del giorno del Figlio dell’Uomo. Questi verrà così come un padrone che è partito per andare da qualche parte e, dopo aver lasciato il potere della sua casa ai servi, improvvisamente torna senza avvisare. Il brano è tratto dal capitolo tredicesimo di Marco, chiamato anche “discorso escatologico”, sicuramente una delle parti più difficili e discusse del secondo Vangelo, il cui intento non è tanto quello di rivelare i dettagli di quello che accadrà alla fine del mondo, magari dando indicazioni sui tempi o i modi (come alcune sette cristiane fondamentaliste fanno credere), quanto piuttosto quello di esortare i cristiani a vivere il presente nell’impegno quotidiano e nella vigilanza attenta.
Il nostro testo si presta quindi bene ad un percorso liturgico come quello dell’Avvento, anche se, a ben vedere, il suo contesto interpretativo più probabile è piuttosto un altro, e cioè – oltre a quello escatologico di cui abbiamo detto – quello della passione di Gesù. È stato infatti notato come i verbi che troviamo quattro volte nel brano di oggi, “vegliare” e “vigilare”, ricorrano in Marco solo qui e poi poco dopo la nostra scena, in quella del Getsemani, al cap. 14; in 14,34: “Perciò disse loro: L’anima mia è triste fino alla morte. Rimanete qui e vegliate!”; 14,37: “Tornato indietro, li trova addormentati. Perciò dice a Pietro: Simone, dormi? Non hai avuto la forza di vegliare una sola ora?”; 14,38: “Vegliate e pregate, affinché non entriate in tentazione. Certo, lo spirito è pronto; la carne, però, è debole”.
Qualche studioso ritiene poi che i rimandi alla passione-morte di Gesù non si limitino solo al caso dei verbi: la composizione del brano di oggi sarebbe tutta pensata seguendo (precedendo!) gli avvenimenti della passione ormai vicini. Infatti, “quando verrà il Signore della casa, per visitare i suoi e chiedere conto della loro fedeltà? In momenti ben precisi: la sera, il momento in cui uno dei Dodici l’avrebbe consegnato (Mc 14,17); a mezzanotte, il momento in cui Gesù viene interrogato dal sommo sacerdote (14,60-62); al canto del gallo, quando Pietro lo rinnega (14,72); il mattino, l’ora in cui il sinedrio consegna Gesù a Pilato (15,1). È come se il Signore venisse nell’ora in cui si consuma il peccato degli uomini: egli non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Radermakers).
Anche un altro bravo commentatore collega bene il senso dell’attesa del nostro brano con la passione di Gesù: “Il Signore viene quando si consuma il peccato dell’uomo, e quindi occorre vigilare, ciascuno con la responsabilità e il compito lasciatogli dal Signore. La parusia è prossima, ma anche la Passione è vicina e ciò che Gesù ha detto ai quattro discepoli l’ha detto per tutti e significa soprattutto: ‘Vegliate, perché viene il Figlio dell’Uomo’. Questo Gesù, che presto sarà ridotto all’impotenza, sarà colui al quale spetta il ritorno nella gloria e l’ultima parola sulla storia. Cosa deve fare dunque il cristiano? Vegliare. Chi non sa vegliare non sa neanche pregare e cade facilmente preda della crapula e della vertigine, perdendo la padronanza di se stesso e la capacità di essere proteso alla venuta del Signore. Vieni Signore Gesù sarà il grido dell’autentico cristiano fino alla fine del mondo” (Enzo Bianchi).
L’invito di Gesù vale allora per sempre, per ogni situazione. Serve per il nostro tempo di Avvento, si coglie in particolare se si pensa alla storia del Messia crocifisso, è utile per i nostri momenti di crisi. L’importante è non lasciarsi sfuggire il tempo opportuno, il kairos, perché è facile addormentarsi, come hanno fatto i discepoli nell’orto degli ulivi. Però l’invito di Gesù a stare svegli non vuole superare la nostra natura: “La vigilanza continua non significa che i discepoli non possano mai dormire; già fisicamente questo è impossibile” (Stock). Il problema è il non dormire all’arrivo del momento cruciale, ovvero il non perdere l’occasione. Che non è solo alla fine del mondo, quando tornerà il Figlio dell’Uomo. In quel giorno, anche se saremo addormentati, il suono della tromba comunque ci desterà (cfr. 1 Cor 15,52). Che non è solo al momento della nostra morte, quando incontreremo personalmente il Signore. Stiamo parlando dell’occasione di ogni giorno: “La ‘fine del mondo’ si realizza per ciascuno quando in Gesù ci si trova alla presenza di Dio” (Radermakers).
“Il rischio terribile è quello di non comprendere l’unica cosa veramente importante, di continuare ad attendere ciò che non verrà, perché è già venuto” (Spreafico). “Solo custodendo il timore di non riconoscere Colui che passa tra noi e rimane con noi (Sant’Agostino, Sermone 88, 14, 13), potremo realmente vivere una vita degna dell’eternità” (Cei, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia).