di p. Giulio Michelini
Chissà se il sostantivo “Avvento” è ancora capace di significare quello che in origine la parola voleva dire: come James Barr scriveva nel suo Semantica del linguaggio biblico (1961), “si potrebbero fare centinaia di esempi di parole che sono state usate in un senso molto diverso, quando non addirittura opposto, rispetto a quello delle forme dalle quali sono derivate”.
La lingua si evolve, e non si può più presumere in questo “cambiamento d’epoca” – così Papa Francesco definisce il nostro tempo – che la parola che definisce un tempo liturgico sia oggi immediatamente intellegibile. Essa suona, come tante altre parole ecclesiastiche, strana e forse, per i più, riesce solo a far risalire alla mente ricordi lontani legati al Natale. Proprio come si legge nel sito della Treccani, per la quale l’Avvento è “nella liturgia cristiana, la preparazione alla venuta del Signore (Natale), che abbraccia, nel rito romano, un periodo di quattro settimane, dedicato al raccoglimento e alla penitenza”.
Non sembra però che si tratti solo di questo, e se l’Avvento fosse semplicemente la preparazione al Natale, sarebbe troppo poco.
Naturalmente le tradizioni quali la corona o i calendari d’Avvento dicono che si deve puntare verso un “obiettivo” finale, che è proprio il Natale del Signore, e il cammino di quattro settimane aiuta a ripercorrere l’attesa dell’umanità – e di Israele – per una Parola definitiva di Dio, che è entrata nella storia grazie alla carne di Gesù.
Le letture che inaugurano questo “tempo forte” nel presente anno (B), però, dicono che c’è ancora altro. La pagina del Vangelo secondo Marco (13,33-37), in particolare, presa dall’ultimo discorso di Gesù, è un invito alla vigilanza che esprime un’attesa diversa, sempre attuale e non ancora compiuta, per il ritorno del Figlio dell’uomo: un secondo Avvento.
Nel contesto in cui Marco colloca le parole di Gesù, però, queste implicavano ancora qualcos’altro: un terzo Avvento. Qualche studioso ha notato che in quella pagina vi sono diversi rimandi al racconto della passione e morte di Gesù, e non solo il verbo “vegliare” (che tornerà nel Getsemani, cf. Mc 14,34.38): la composizione del brano è tutta pensata “precedendo” (ma è stata scritta, ovviamente, “seguendo”) gli avvenimenti della Passione ormai vicini, che infatti Marco narrerà subito dopo. Il “Signore della casa” di cui parla la parabola di Gesù torna infatti in momenti ben precisi: “la sera”, quando uno dei Dodici l’avrebbe consegnato (Mc 14,17); a “mezzanotte”, il momento in cui Gesù viene interrogato nel Sinedrio (14,60-62); “al canto del gallo”, quando Pietro lo rinnega (14,72); il “mattino”, quando Gesù è consegnato a Pilato (15,1). Il Figlio dell’uomo dunque è già venuto, quando meno si aspettava di vederlo, nascosto nel suo volto sfigurato.
A noi il compito di non replicare l’esperienza di chi non si è accorto del suo passaggio, e di non farci sfuggire il kairòs (Mc 13,33), il momento opportuno, quello in cui l’Avvento non riguarderà solo il suo ritorno, ma riguarda la venuta di Gesù di ogni giorno.