di Alberto Campoleone
Il sindaco di un paese del Mantovano aveva chiesto alla locale scuola media di partecipare alle manifestazioni del 25 Aprile con la propria banda. Ma quando questa ha proposto due brani – Inno di Mameli e Bella ciao –, ha posto il veto sulla notissima canzone partigiana perché troppo “divisiva”, suggerendo l’esecuzione di Va’ pensiero .
Polemiche immediate, con la scuola che si ritira dalla partecipazione alla manifestazione e promette: suoneremo Bella ciao il giorno dopo. E il sindaco? Beh, è naturalmente stato “frainteso”. Non è che ritenga Bella ciao un canto inappropriato, a risultare “divisivo” è l’uso che se ne è fatto e se ne fa. Queste le sue considerazioni dopo le polemiche, bollate come “pretestuose”.
Cosa insegna questa vicenda? Anzitutto che in Italia c’è sempre qualcuno capace di perdersi in un bicchier d’acqua. Intendiamoci, la questione che sottostà alle polemiche – non nuove, anzi, piuttosto ripetute e stancanti da anni – legate a una canzone simbolo hanno radici profonde e si alimentano ogni volta attingendo a fratture mai sanate nella storia del nostro Paese.
E qui già bisognerebbe riflettere: possibile che ancora oggi la vicenda della lotta partigiana non abbia trovato una composizione pacifica nell’immaginario collettivo? Non è stato sufficiente riconoscere più volte, ai livelli più alti delle nostre istituzioni, i valori in gioco di quella che fu una “guerra di liberazione” sulla base della quale si è costruita l’Italia contemporanea? Non è stato sufficiente riconoscere l’importanza di una pacificazione collettiva, la prospettiva di comunità unitaria che proprio da quel preciso momento storico – simboleggiato dalla festa del 25 Aprile che quest’anno ha celebrato i 77 anni – ha cercato di costruirsi?
“Il 25 Aprile – scrive il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi in un messaggio alle scuole – celebriamo la Festa della liberazione, la sconfitta del nazifascismo e la conclusione di un conflitto sanguinoso. In questo anniversario ricordiamo la lotta e il sacrificio di donne e uomini per ottenere il rispetto e il riconoscimento di diritti e un nuovo assetto democratico, basato su princìpi fondamentali quali l’uguaglianza, la solidarietà, la coesione, espressi poi chiaramente nella nostra Costituzione”.
Aggiunge: “Il 25 Aprile ci richiama alla cura della nostra democrazia, perché la libertà conquistata da chi ci ha preceduti non è data per sempre, deve essere rinnovata ogni giorno”. E conclude: “Con la Festa della liberazione inauguriamo ‘la via sacra della Repubblica’: il 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno. Tre date fondamentali del nostro vivere civile comune, che ci conducono al cuore del primo articolo della nostra Carta fondamentale: ‘L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’. Continuiamo a coltivare il delicato fiore della libertà quotidianamente attraverso l’esercizio della partecipazione. Insieme”.
Insomma, è ora di aprire gli occhi. C’è da augurarsi che finiscano i tempi delle polemiche inutili, soprattutto dove ci sono di mezzo le scuole, primi luoghi di integrazione, inclusività, pacificazione.