La consegna è precisa, anche se espressa a braccio, in modo colloquiale e informale, ma assolutamente stringente, come sa fare Papa Francesco, nel solenne incontro sulla tomba di Pietro: “Andate avanti con fratellanza”. E nel merito: “Voi avete tanti compiti”, e ha sottolineato in particolare il dialogo con “le istituzioni culturali, sociali, politiche. È cosa vostra. Avanti!”.
È stata un’assemblea importante, la 65a della Cei, la prima con Papa Francesco. Aveva già incontrato la gran parte dei Vescovi in visita ad limina: occasione solenne che il Papa aveva reso personale e immediata, con quella sua coinvolgente capacità di comunicazione. L’assemblea ha permesso di fissare per la Cei in quanto tale un mandato preciso, all’inizio del pontificato. Ed esso è coerente con le linee strategiche che Papa Francesco ha già ben illustrato in diverse occasioni. La Curia, di cui sta fissando gli indirizzi di riforma, ha i suoi compiti, così come le diverse Conferenze episcopali, che rappresentano, nella linea conciliare ribadita dalla costituzione Apostolos suos emanata da Giovanni Paolo II nel 1998, “una forma concreta di applicazione dello spirito collegiale”.
È la parola-chiave che definisce uno degli indirizzi istituzionali del pontificato. Bisogna fare camminare e nello stesso tempo costruire continuamente tutta la Chiesa guardando al suo compito, annunciare il Vangelo.
Il caso italiano è particolare, certo, per il legame con il Vescovo di Roma, che non è solo istituzionale ma affettivo, profondissimo, immediato: la Cei, in piena comunione e sotto la sua guida, ha comunque la sua propria responsabilità.
Di più: Papa Francesco insiste anche sul ruolo delle Conferenze regionali. Queste peraltro hanno una storia molto più antica della stessa Cei: sono infatti state create nel 1889 da Papa Leone XIII, proprio “perché – come ha sottolineato Francesco – siano la voce di tutte le regioni, tanto diverse; e questo è bello”. Di qui anche l’indicazione per ridurre il numero delle diocesi, e più in generale a verificare continuamente le strutture, che devono essere a servizio “del vero bene del popolo di Dio”.
E i Vescovi prendono gli impegni conseguenti: “Uscire dai ‘piccoli porti’ dell’autoreferenzialità; una maggiore essenzialità; l’assunzione coraggiosa della funzione profetica; la disponibilità ad andare verso le periferie”, ribaditi nel comunicato finale.
Si profila dunque un cammino, che ha già un primo appuntamento di verifica. È il Convegno ecclesiale decennale, in calendario nel 2015 a Firenze. L’assemblea ne ha definito il titolo: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. La fede non è “uno dei tanti fattori umani che innestano processi culturali e sociali”, ma “la sorgente della vita nuova per ogni persona e per l’intera società”.
Siamo alla radice dell’insegnamento del Papa, uno slancio di conversione (e dunque di guarigione) da applicare nel concreto della vita di ciascuno, così come delle istituzioni. Si tratta di ‘aprire le porte” e puntare all’essenziale. Che poi è la dinamica dell’Anno della fede, di cui si cominciano a cogliere i primi frutti.