Gesù ha già inviato davanti a sé i Dodici ad annunciare il Vangelo, dando loro precise indicazioni di metodo. Ora sceglie un gruppo più nutrito di collaboratori per l’evangelizzazione delle città e dei paesi dove sta per arrivare. Il numero di questi nuovi missionari è di 72, un numero chiaramente simbolico che risulta dalla moltiplicazione di 12 x 6. Dodici è il numero tradizionale che indica l’intero popolo di Dio, composto da dodici tribù. Ora vi si aggiunge il fattore 6 per indicare che sono coinvolti nella missione anche i singoli membri, non solo i capi responsabili. Il numero 72 compare già nella Bibbia ebraica ad indicare i popoli che ripopolarono la terra dopo il diluvio (Gn 10,1-32), poi ad indicare i collaboratori di Mosè, chiamati a condividere con lui la responsabilità di guida e di governo (Num 11,24-30).
Un numero dunque è scelto appositamente a significare l’universalità di destinazione della salvezza, e la responsabilità cristiana dell’evangelizzazione che coinvolge l’intera comunità dei credenti. L’impegno missionario insomma non è solo affare che riguarda i capi, ma tutto il popolo di Dio. Nella Chiesa siamo tutti missionari, nessuno può tirarsi indietro.L’episodio dell’invio missionario che leggiamo ci dice come tale compito vada svolto da ogni credente che ne abbia consapevolezza. L’episodio narrato è preceduto dal racconto delle tre vocazioni, al centro delle quali c’è il comando di Gesù: “‘Tu va’ e annuncia il regno di Dio” (9,60), senza voltarti indietro, cioè senza incertezze e tentennamenti. L’invio iniziale dei discepoli nelle città e nei paesi della Galilea sta a dire che la prima terra di missione è quella dove noi siamo nati e viviamo. Gesù stesso non ha predicato e agito fuori della Palestina.
Solo dopo la Pasqua la missione è estesa a tutto il mondo. I discepoli sono inviati in coppia, a due a due, per un aiuto e un sostegno reciproco, e per rendere più credibile la loro testimonianza secondo le regole giuridiche del tempo: nessuna testimonianza era valida senza la presenza di almeno due testimoni. Alla base della missione c’è la preoccupazione di Dio per la salvezza di tutti: “La messe è molta, gli operai sono pochi”. I tempi sono maturi, è tempo di raccolto, che minaccia altrimenti di perdersi. L’allarme era stato lanciato da Gesù in Samaria, quando aveva allertato gli apostoli dicendo: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35-36). Presentiva allora l’arrivo dei Samaritani, avvertiti dalla donna tornata in città. Il campo è di Dio, è lui che si preoccupa di trovare lavoratori, come in altre parabole. Il campo è illimitato, ma la mano d’opera è sempre ridotta; Dio cerca aiuto nella nostra preghiera e nella nostra collaborazione.
La libertà dell’uomo non gli consente di imporre, ma solo di proporre. Molto vale la preghiera, per suscitare disponibilità alla chiamata in se stessi e negli altri. Le prospettive della missione non sono rosee: Gesù non illude nessuno, ciò che propone è un’impresa difficile che può suscitare opposizione e persecuzione. Usa l’immagine degli agnelli e dei lupi, figura classica degli indifesi davanti ai prepotenti violenti. La storia della Chiesa si incarica di contare il numero dei testimoni-martiri. Come Gesù, i suoi missionari devono mettere in conto il rifiuto e la persecuzione. Non devono imporre, ma solo proporre il Vangelo; in caso di rifiuto devono ritirarsi in buon ordine, scuotendo la polvere dai piedi come ammonimento e scissione di responsabilità, ma non possono minacciare. Devono anzi dire che, nonostante tutto, “il regno di Dio si è avvicinato a voi'” e resta sempre a vostra disposizione, se vi ricredete.
Lo stile missionario è improntato a forte sobrietà e povertà. I missionari sono disarmati e disinteressati: senza soldi, senza riserve, scalzi, a totale dipendenza dalla provvidenza di Dio, per non suscitare minimamente il sospetto di agire per interesse o per arricchimento personale. Gesù vuole che intorno ai suoi collaboratori non ci sia rumore di denaro, né odore di guadagno. Dice: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Devono dipendere totalmente dalla carità di chi li accoglie e li ospita, accettando ciò che viene loro donato, adattandosi alle situazioni di chi li accoglie, senza pretese. La loro ricchezza è tutta nel saluto di pace, lasciato in ogni casa che accoglie il messaggio. L’unica ricchezza della Chiesa deve essere la Parola di pace contenuta nell’annuncio evangelico. La loro pace, più che un saluto è un dono, il dono della salvezza messa da Dio nelle loro mani. Questa è offerta specialmente ai più bisognosi: peccatori, malati, indemoniati. Per molti è guarigione anche del corpo, secondo il volere di Dio.
Dopo la missione i settantadue tornano pieni di gioia, per i successi ottenuti nel nome di Gesù, cioè con la sua potenza salvifica. Non hanno predicato se stessi ma Gesù Cristo, che confessa loro una visione che ha appena avuto: la sconfitta di Satana causata dal loro annuncio evangelico. È l’anticipo di quella vittoria sul male e sul demonio legata alla Pasqua di Gesù (Gv 12,31) e alla fine dei tempi (Ap 12,7-12; 20,16). Niente deve far più paura ai suoi discepoli; ora possono superare ogni ostacolo. Gesù esprime il concetto con l’immagine dei serpenti e degli scorpioni che loro possono calpestare impunemente. Erano i pericoli che un viandante scalzo poteva trovare sui sentieri polverosi e dissestati che percorreva in Palestina; pericoli mortali o comunque dolorosi. Ormai i credenti attivi della Chiesa di Cristo hanno la certezza di essere amati da Dio, scritti sul palmo della sua mano (Is 49,16) e registrati all’anagrafe del cielo, nel libro della vita (Fil 3,20). Ecco, questa è la ricompensa a chi accetta di lavorare nel campo di Dio, come operaio della sua messe.