In una specie di fortuito scontro tra luce e tenebra, vita e morte, non programmato e non voluto, in questi stessi giorni – almeno nei media e negli ambienti cattolici – si parla dell’Anno della fede, del Concilio, del Sinodo dei vescovi e della nuova evangelizzazione, argomenti che suscitano entusiasmo. Del resto tutto nacque da quel discorso del vecchio Papa Buono Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia: “La madre Chiesa si rallegra” nel dare inizio alla grande assise conciliare. Negli stessi giorni – ecco il contrasto – abbiamo il resoconto degli aborti in Italia, sulla base della relazione annuale sull’applicazione della legge 194/1978. Gli aborti diminuiscono, ma sono sempre un numero spropositato. È di oggi pure la Giornata mondiale contro la pena capitale: diminuiscono gli Stati che la applicano, ma sono ancora tanti. Due realtà opposte che stanno sulle pagine di uno stesso giornale, e nella coscienza delle persone che, credenti o non credenti, non possono rimanere indifferenti sulle questioni della vita e della morte, del credere in un Dio creatore e remuneratore o abbandonarsi alla inconsistenza tragica della vita per la mancanza di senso. I non credenti (se ci sono!) sarebbero coloro che si arrendono allo scacco della razionalità e alla resa della giustizia e del valore dell’innocenza. La fede quindi illumina la vita, e sarebbe bello che l’Anno della fede fosse connesso con un Anno della vita. A chi daremo, infatti, il dono della fede, se prima non abbiamo dato il dono della vita? Si muove in questo ambito l’antico e sempre attuale dilemma se sia più importante la fede o la carità – amore che dà la vita. San Paolo pone una soluzione netta: la carità sorpassa ogni altra virtù e valore. Nel processo di attuazione di un progetto religioso in questo nostro tempo, si deve dire che una fede senza la carità può essere perfino pericolosa. È vero che anche l’amore senza la fede può essere cieco, infondato, inconsistente, possessivo, narcisistico e ipocrita. Ma vediamo oggi, in alcune situazioni contingenti del mondo, che una fede sbagliata, eccessiva, soggettiva, arbitraria, di persone o di partiti, può essere contro la vita e produrre la morte. Non si vorrebbe gettare ombre sulla fede, che risplende nella vita dei santi e di miliardi di credenti autentici, ma in una situazione di forte pluralità di fedi e di religioni la riflessione – anche razionale – aiuta a discernere e approfondire le ragioni e le scelte della vita. Il recente vincitore del premio Nobel, lo scienziato giapponese Shimya Yamanaka, che non è un uomo di fede cristiana, e ha lavorato per l’utilizzazione delle cellule staminali, ha avuto l’impulso a seguire questa ricerca da un’osservazione che lui stesso ha raccontato: “Quando ho visto l’embrione, mi sono reso conto all’improvviso che c’era solo una piccola differenza tra lui e mia figlia. Ho pensato che non possiamo continuare a distruggere embrioni per la nostra ricerca. Ci deve essere un’altra strada”. In Umbria, a Terni, come è noto, è stato un Vescovo con la sua fede a spingere per una ricerca sulle staminali adulte (per non ricorrere alle staminali embrionali). Cosa si vuol dire con tutto ciò è chiaro. E Assuntina Morresi su Avvenire del 9 ottobre ha fatto bene a metterlo nero su bianco. Vita, fede e ragione possono, devono andare insieme.
Anno della fede, Anno della vita
AUTORE:
Elio Bromuri