Se l’ottimo è un robusto nemico del bene, l’ovvio è un perfido nemico della verità.
Sto pensando ai commenti sul vangelo di domenica scorsa, la splendida parabola del figlio perduto (meglio nota col come che le dava la pora nonna: “Il figliol prodigo”); commenti: ne ho piluccati diversi. Delusione, vera delusione.
Una delusione, una vittoria dell’ovvio, perché, pur dicendo cose pregevoli, quasi tutti i commenti toppano nel centrare l’impostazione di fondo del racconto: leggono il figliol prodigo come una parabola morale, e invece si tratta di una parabola teologica; con i suoi precisi risvolti morali, ci mancherebbe altro!, ma il suo taglio è nettamente teologico; la parabola del figliol prodigo ci dice ANCHE come dobbiamo comportarci, ma, ma prima ancora ci dice chi è Dio; beh! “dice”; meglio “insinua con forza”.
Ma che volete insistere sul presunto pentimento di quel birbaccione del figlio minore, che pentimento non lo è affatto, ma solo calcolo opportunista!? E che volete infierire sul figlio maggiore, tacciandolo di insensibilità, quando invece lui è solo uno di noi, di noi mezze calzette che siamo stati invitati un’infinità di volte a salire sulla Montagna, e a metterci appena un passo indietro alla fila dei Dodici che Lo stanno ad ascoltare, e all’invito noi abbiamo risposto picche, e che, anche quando ormai è vicina la grande sera, e il sole muove verso l’orizzonte, ci troviamo tra le mani ancora e sempre la povera morale della Pianura.
Cantavamo (ricordate?) Prendimi per mano, Dio mio, guidami nel mondo a modo tuo! e poi zompettavamo a modo nostro.
Il comportamento del Padre assume tutto il suo valore solo in controluce su quello dei figli. Il piccolo “pentito” (?) recita la formuletta che ha limato a lungo (“Padre, non sono degno” ecc.) e il Padre nemmeno lo sente, chiama i servi, ordina il vestito più bello, il vitello più grasso e l’anello che lo reimmette nella proprietà dell’intero patrimonio.
Nell’incontro col figlio maggiore domina lo sconcerto: come è mai possibile non perdere la testa quando un fratello morto torna in vita?
È possibile, oh! se lo è!. Basta ridurre Dio a un uomo grande grande, buono buono, più buono di quel signore che stava morendo e aveva gli otto figli intorno al letto, e ognuno parlava di quanto generosa doveva essere la spesa per il funerale, e ad ogni figlio che si pronunciava l’impegno di spesa calava, da 8 a 6, da 6 a 4, da 4 …finché, senza dar segno di dispiacere alcuno, il morente bisbigliò: “Dateme i calzoni, ché vo’ al cimitero a piedi”.