In un recente convegno sui fondamenti teologici cristiani del dialogo tra le religioni, il presidente dell’assemblea, nonché presidente della Commissione della Cei per l’ecumenismo e il dialogo, il vescovo mons. Giuseppe Chiaretti, ha osservato che per la giornata delle migrazioni (domenica 17 novembre) l’attenzione è rivolta all’accoglienza e alla dimensione sociale giuridica e umana degli immigrati. Manca il riferimento alla loro fede e all’ esperienza religiosa loro propria. E’ indubbio che le condizioni materiali di lavoro, alloggio, ricongiungimenti familiari, disagio, solitudine, permessi di soggiorno prendono il sopravvento nella considerazione e nell’impegno di coloro che tendono una mano verso stranieri in cerca di una soluzione ai loro gravi problemi di sopravvivenza. Spesso ci si trova di fronte a vere tragiche emergenze a cui si devono dare risposte immediate, non facili e talvolta persino impossibili. In questi giorni, scaduto il tempo della regolarizzazione prevista dalla legge Bossi – Fini, le organizzazioni di Caritas e Migrantes chiedono una proroga per evitare che almeno quelli che avevano un lavoro e non sono riusciti per varie ragioni a completare le carte necessarie (è stata denunciata un’ ampia mancanza di collaborazione da parte di datori di lavoro e di famiglie che avevano una colf o una badante) possano essere regolarizzati. Ma dopo tutto questo e dopo aver provveduto a compiere il dovere della carità materiale si deve aprire un nuovo campo che riguarda la carità spirituale, considerando che queste persone, prevalentemente giovani, hanno bisogno di trovare luoghi di ascolto, occasioni di dialogo, opportunità di crescita morale e spirituale. La Chiesa ha assunto consapevolmente da tempo l’impegno di dialogo e di annuncio, e di cura spirituale offerta senza scopo di proselitismo, con l’unico intento di favorire la reciproca conoscenza, il rispetto vicendevole e lo sviluppo di una civiltà in cui le diversità religiose e culturali si arricchiscono vicendevolmente. Alcuni temono che questo atteggiamento di conoscenza e di confronto possa portare alla confusione delle idee e all’irenismo imbelle, ad una forma di tolleranza di tipo illuministico che sfocia nell’agnosticismo. Un pericolo che è reale se il dialogo diventa chiacchiera e se il confronto è fatto emotivamente senza preparazione. Ma è venuto il tempo, come si dice in altra parte del giornale, che non si chiudano gli occhi di fronte ad una realtà sempre più marcatamente pluralista anche in ambito religioso dalla quale scaturisce la necessità che i cristiani e, per quanto ci concerne, i cattolici si espongano con coraggio e disponibilità tenendo la barra fissa sul Vangelo che indica la via dell’amore senza riserve e della testimonianza cristiana senza timore. Questa attività impegnativa difficile delicata ed urgente, oltre che doverosa per se stessa, sarà apportatrice di una convivenza più pacifica e la condizione per una integrazione degli immigrati e dei loro figli nella nostra società. Un prete siciliano, nel convegno succitato, ha detto che purtroppo tale integrazione attualmente viene proposta e avviene nelle nostre città al livello più basso, con perdita di valori e caduta in varie forme di trasgressione, piuttosto che al livello alto dello scambio culturale e spirituale. La Chiesa d’ora in poi non dovrà trascurare tale aspetto della immigrazione in Italia.
Anche gli immigrati hanno un’anima
AUTORE:
Elio Bromuri