Il tempo di Avvento, attestano gli studiosi, è il vero “tempo mariano”. La tradizione popolare del mese di maggio dedicato alla Madonna è superata teologicamente nella sua “marianità” dal tempo di Avvento, dove giganteggia il Vangelo dell’Annunciazione.
È proposto nella solennità dell’Immacolata Concezione nella versione di Luca, e nella quarta domenica nella versione di Matteo. Una splendida sintesi della coloritura mariana del tempo di Avvento emerge dal prefazio II/A della liturgia di Avento: “Dall’antico avversario venne la rovina, / dal grembo verginale della figlia di Sion / è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli / ed è scaturita per tutto il genere umano / la salvezza e la pace. / La grazia che Eva ci tolse / ci è ridonata in Maria. / In lei, madre di tutti gli uomini, / la maternità, redenta dal peccato e dalla morte, / si apre al dono della vita nuova”.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro della Genesi 3,9-15.20SALMO RESPONSORIALE
Salmo 97 (98)SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di Paolo agli Efesini 1,3-6.11-12VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca 1,26-38
Una vera sintesi teologica da cui emerge la profondità del mistero della Theotòkos, la Madre di Dio, così divinamente cantata da Dante nel XXXIII canto del Paradiso : “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio…” . La devozione mariana della Chiesa che è in Italia rende così popolare tale profondità teologica da sovvertire le norme liturgiche delle priorità celebrative: ogni volta che la solennità dell’Immacolata Concezione coincide con la domenica di Avvento, la prima precede liturgicamente la domenica propria.
Quest’anno, quindi, ci lasciamo guidare nella riflessione della II domenica di Avvento dai testi liturgici della solennità mariana. L’invocazione benedicente che introduce il testo di Paolo nella Lettera agli Efesini ha la sua radice nell’azione di benedizione del Padre, ricolmandoci di ogni grazia in Cristo. Il testo ci colloca tra i “prescelti prima della creazione”: una condizione, in un certo modo, non distante da quella dei nostri progenitori. La narrazione di Genesi quindi ci riguarda da vicino: la nostra umanità, il nostro essere uomini e donne porta dentro di sé il Dna del Creatore e, nello stesso tempo, il virus della sua negazione.
Il “dove sei?” di Dio (Gen 3,9) non indica l’incapacità del Creatore di ritrovare la sua creatura, ma la condizione da desaparecidos della creatura, che ha perso se stessa perché ha perso Dio, “via, verità e vita”. La paura scaturisce dalla nuova immagine che l’uomo si è fatto del suo Dio, un Dio a sua immagine che punisce, che si vendica per il torto subito.
Il “dove sei” sul versante del Creatore – che è Padre e “Consolatore” – indica il desiderio di Dio di andare a riprendere l’umanità là dove si è persa, e tale volontà inaugura il progetto di redenzione. La “tremenda vendetta” di Dio (per usare un linguaggio umano), invece, è il definitivo giudizio sull’uomo, Sua creatura, a cui viene ridonata la “libertà possibile” ferita dal peccato, e nello stesso tempo viene sancita la scelta irrevocabile del Tentatore, a cui non viene più concesso il potere di nuocere in modo irreparabile. La suprema giustizia diviene così sinonimo di misericordia.
Il cosiddetto “protovangelo” (Gen 3,15) anticipa l’alba di redenzione descritta nell’Annunciazione, a cui fa eco il canto nuovo del Salmo 98, che profeticamente vede il mistero dell’Incarnazione come suprema manifestazione di Dio. Amore e fedeltà non sono un atto ma un processo, una via che Dio traccia verso l’uomo, una via illuminata dalla Pasqua, visibile all’umanità per ricostruire la sua dignità e non consentire al virus del peccato di distruggere il Dna della santità.
La pienezza di grazia constatata dall’angelo in Maria (Lc 1,28) è la conferma che la libertà è la prima a essere ferita quando si apre la porta al peccato, lasciandoci convincere dalla tentazione. In Maria il progetto del Creatore trova invece la conferma, negata dai nostri progenitori, al progetto di una pienezza di vita in armonia con tutto il creato.
Dio, ricominciando daccapo, ha trovato una fanciulla nella quale ha voluto ricreare il prezioso giardino dell’Eden, dal quale far rinascere l’Uomo nuovo, il nuovo Adamo.
L’“eccomi” di Maria è il culmine di una fedeltà quotidiana che ha consentito la fedeltà di Dio annunciata nel libro della Genesi. Una fedeltà che spinge il Creatore alla contemplazione della sua opera: l’uomo a sua immagine e somiglianza. La fedeltà di Dio è stupendamente cantata nel Preconio pasquale: “Davvero era necessario il peccato di Adamo, / che è stato distrutto con la morte del Cristo. / Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!”.
Don Andrea Rossi