Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi”. Queste parole della colletta della V domenica di Quaresima ci introducono al mistero più grande: l’amore genera la vita. L’amore è il motivo che ha mosso Gesù a dare la vita a Lazzaro e a generare la fede nel cuore dei molti che assistettero all’evento in questione. Tre passaggi perciò: amore, vita e fede. Analizziamoli nel procedere della descrizione. All’inizio compare il personaggio di Lazzaro.
Lazzaro è il diminutivo di Eleazaro, nome comune tra i giudei del tempo di Gesù, e significa ‘Dio aiuta’. Betania, luogo situato a est di Gerusalemme, vuol dire invece ‘casa dell’afflizione’, città che Gesù transitava quando si recava a Gerusalemme (Mc 11,11). Marta e Maria, due sorelle, di cui Marta sempre nominata per prima (5,19), ma in questo caso solo di Maria si esplicita una caratteristica che è quella di essere stata colei che ha unto Gesù con il profumo.
A questo punto si interrompe la descrizione dei personaggi perché viene data l’informazione dello stato di malattia di Lazzaro, per cui Marta e Maria mandano a dire a Gesù: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Il verbo amare (filèo) è lo stesso che l’autore Giovanni userà (20,2) per indicare il tipo di legame che Gesù aveva con lui stesso, “il discepolo che amava”. Ma due versetti dopo è ribadito che Gesù “amava Marta e sua sorella e Lazzaro” e il verbo greco (agapào) in questo caso esprime una maggiore intensità. Poi quando Gesù fa presente la decisione di andare è specificato di nuovo: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. E che fosse una figura rilevante per Gesù e per i Dodici è testimoniato dal fatto che quando Gesù esplicita “Lazzaro è morto”, Tommaso risponde: “Andiamo anche noi a morire con lui”. Sicuramente per il ruolo che ricopriva e per la sua affabilità, era una figura nota e amata, tanto che da Gerusalemme “molti giudei” andarono a Betania a consolare le sorelle.
Dopo questa premessa che fa presente il calore dei rapporti umani, ecco l’intervento di Gesù. Lazzaro è sepolto già da quattro giorni. Secondo la dottrina rabbinica, l’anima poteva essere presente in un corpo fino al terzo giorno dalla morte (StB II), quindi nel caso di Lazzaro non c’era assolutamente la possibilità di ritornare in vita. L’usanza voleva inoltre che il defunto venisse sepolto il giorno stesso della morte, quindi tutto ciò marca l’attenzione sulla ineluttabilità della situazione, avvalorata dall’atteggiamento funebre tipicamente semitico delle donne sedute in casa (Maria).
Ma in questo scenario di profonda desolazione, Marta rompe gli schemi del tempo e va incontro a Gesù: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. Gesù allora mette alla prova Marta e le si presenta come Risurrezione e Vita: “Credi questo?”, e la professione di fede: “Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo”. Segue una nuova descrizione della profondità dei rapporti di amicizia nonché dell’umanità di Gesù. Infatti, alla notizia che è giunto Gesù, Maria si alza e parte in fretta. Coloro che erano con lei la seguono e, al vedere il pianto di lei e dei giudei, Gesù “si commosse profondamente e fu molto turbato” e “scoppiò in pianto”.
I presenti commentano di Gesù: “Guarda come lo amava (filèo)”; e lui, avanzando verso il sepolcro, fu “ancora una volta commosso profondamente”. Letteralmente dobbiamo leggere “fremette nello spirito e si turbò”, verbi che ci permettono di comprendere l’indignazione di fronte alla morte, sentimento che anche Gesù prova e che sfoga piangendo, così come farà su Gerusalemme (Lc 19,41) e nel Getsemani (Eb 5,7). Poi Gesù alza gli occhi per introdurre la preghiera (così come ha fatto prima di moltiplicare i pani) e con “voce grande gridò: Lazzaro, vieni fuori!”. Tra gli assordanti lamenti funebri, si mostra più potente il grido “amichevole”! E la conseguenza è la vita che ritorna in Lazzaro, oltre al fatto che “molti giudei, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui”. In questo episodio, lo stupore che suscita il più grande dei miracoli rischia di far deviare l’attenzione da ciò che lo precede e che costituisce il filo conduttore e il movente di tutto: i legami affettivi. Il filosofo e scrittore Gabriel Marcel afferma che ‘ti amo’ significa ‘tu non muori mai perché voli anche sulle ali del mio amore’.
L’amore muove tutto. “L’amore fa vivere gli uomini” (Tolstoj). E tu? Chi fai vivere? Chi fa vivere te? Da quale ‘sepolcro’ deve tirarti fuori Gesù? Ami davvero? Non il sentimentalismo, ma l’amore che costa sacrificio: questo sì che fa sentire vive le persone e non le fa cadere nella solitudine e nella desolazione del peccato. Gesù ha restituito la vita fisica a Lazzaro e quella spirituale a chi era nel peccato. “La radice della morte è il peccato, il quale si oppone all’amore del Padre… L’amore desidera la vita e si oppone alla morte” (Giovanni Paolo II, 8 aprile 1984).