Questo dell’evangelista Luca è uno di quei brani in cui abbiamo a che fare con il radicalismo evangelico. Ci potrebbe far pensare che il tema centrale sia l’esigenza. Ma se si legge bene il testo, in particolare quello greco, non si parla di “amare di meno”, bensì di “odiare”. Odiare i propri cari! La nostra traduzione rende più fruibile e più digeribile il testo, senza cambiarne il senso. Un testo veramente duro. Ma cosa intende dire Gesù, proponendoci di amare di più Lui? Il senso dell’affermazione non si racchiude sull’esigenza ma sulla possibilità. Non è possibile seguire Gesù se si ama altro da lui. Infatti il brano del Vangelo prosegue affermando che non si può costruire una torre se non si calcolano spese e mezzi. E sullo stesso piano sta anche l’esempio del re che deve affrontare in guerra un altro re. Si può dedurre che essere discepoli del Signore richieda di essere arrivati a uno stadio ben preciso del nostro cammino alla sua sequela. Bisogna essere arrivati alla condizione di non avere il cuore schiavo di nessuna cosa o persona: è necessario liberare il proprio cuore dalle pesantezze, dai peccati, dalle schiavitù che ci tengono prigionieri e non ci permettono di guardare l’eternità che Gesù ci indica. La libertà del cuore passa dalla libertà affettiva a quella delle cose di questo mondo. Tutti noi cadiamo nella trappola affettiva di caricare l’altro (mia moglie, mio marito, il mio fidanzato/a, mio figlio/a, amici, parenti) della responsabilità tremenda di essere la sorgente della vita, il luogo da cui attingo per vivere. Per cui, se io carico i miei cari di questa responsabilità, verrà da sé che questo tipo di affetto (sbagliato) mi impedirà di amare nel modo che mi chiede Gesù. Sarò impossibilitato a seguirlo. Nella piazzetta della casa di san Francesco, a Chiesa nuova di Assisi, è esposta la statua dei genitori del Santo. Statua bella e molto significativa: li rappresenta entrambi con in mano una catena spezzata. Questa è l’immagine e il senso che Francesco ci ha consegnato.
Riguardo agli averi di questa terra, è la medesima cosa. Se non sono beni rinunciabili, se vi attacco il cuore fino al punto di chiedere loro la vita, ne trarrò soltanto tristezza. Se il denaro sarà per me qualcosa di irrinunciabile, verrà da sé che, quando sarò chiamato a fare un servizio, questo attaccamento mi impedirà di servire Gesù, mi impedirà di amare veramente. Ma cosa peggiore, è che non mi sarà possibile seguirlo. “Così, chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Se io arrivo al punto di dire: “Ti dono tutto, mio Signore, ma questa cosa no”, che sia un affetto o un bene materiale, sarò impossibilitato a seguirlo. Gesù fa una chiamata assoluta alla povertà, non intesa come l’assenza di beni o di affetti, ma con il distacco da essi, per avere un cuore libero di amare come lui ama e ha amato me e ciascuno di noi. Ci permettiamo quindi di criticare un certo cristianesimo vissuto senza lotta interiore, perché per natura siamo tutti inclini ad attaccarci ai beni di questo mondo, e per staccarsi da essi è necessario entrare nella lotta.
Nostra figlia Cristiana, proprio nel giorno in cui la Chiesa proclama questo Vangelo, riceverà il sacramento della cresima. La testimonianza a cui sarà chiamata sarà vera solo nella misura in cui avrà il coraggio e la fede per entrare in questa lotta. Del resto Efesini 6,10-20 ce lo ricorda ampiamente. Ecco perché Gesù ci dice: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. All’inizio abbiamo parlato di possibilità, non di esigenza evangelica. Perché l’esigenza si potrebbe barattare con qualcosa di meno esigente, ma la possibilità (in questo caso) diventa impossibilità di sequela se non rinunciamo ai nostri averi. Ecco quindi il significato di aggrapparsi alla nostra croce, perché la croce di Cristo ci ha redenti, e la nostra croce – nella sua – può donarci questa libertà di spirito per poter seguire il Maestro ed entrare nella vita eterna. Teniamoci stretti alla croce come àncora di salvezza, e facciamo nostro il motto dei certosini di san Bruno che erano soliti scrivere sopra il portale delle loro chiesa questa stupenda frase: Stat crux dum volvitur orbis (“La croce resta fissa mentre il mondo ruota”). Quando camminiamo senza la croce, quando edifichiamo senza la croce e quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani; saremo magari “vescovi, preti, cardinali, Papi… ma non discepoli del Signore” (Papa Francesco).
Chi è la famiglia protagonista di questo mese