Siamo nel cuore del cristianesimo, nel suo nocciolo duro ineliminabile, nel suo nucleo essenziale. Gesù dice oggi che, se non ci sono queste due cose – l’amore di Dio e del prossimo -, non c’è comportamento cristiano che tenga. Saremmo fuori del Vangelo. L’amore, così definito, è la struttura portante di tutta la morale cristiana. C’è da domandarsi se siamo consapevoli di questa straordinaria importanza, e se la viviamo concretamente. Altrimenti saremmo cristiani solo di nome. Dobbiamo ringraziare quell’anonimo fariseo che ha voluto mettere alla prova Gesù e lo ha indotto a dire in poche parole che cosa Dio vuole veramente da noi. Constatiamo che anche gli avversari hanno contribuito a chiarire il pensiero di Gesù, per lo meno a renderlo più esplicito.
Nelle scuole rabbiniche del tempo era un problema dibattuto e le risposte erano molto disparate. C’era chi arrivava a distinguere i comandi lievi da quelli gravi, ma tutti ritenevano che il pio ebreo dovesse osservare con impegno tutti i 613 precetti tramandati dalla tradizione scritta e orale, una selva di norme che solo pochi conoscevano bene. La pignoleria scolastica contava 248 precetti positivi e 365 proibizioni in negativo. La gente comune era all’oscuro di tutto ciò, incapace di osservare ciò che non conosceva. Essa riceveva quindi il disprezzo dei maestri con l’appellativo di “popolo della terra”, equivalente al nostro “terrone”. Tutti gli ebrei conoscevano la preghiera che erano tenuti a recitare tre volte al giorno e che prendeva il nome dalla prima parola: Shemah (“Ascolta!”). Era composta da tre passi biblici cuciti assieme, presi dal libro di Deuteronomio (6,4-9; 11,13-21) e dal libro dei Numeri (15,37-41).
Nella parte iniziale diceva così: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo: tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze” (Dt 6,4-9). Gesù, da buon ebreo, la ricordava benissimo, tanto che la richiama esplicitamente nella sua risposta. Forse il fariseo si aspettava che Gesù dicesse che il primo comandamento era quello di recitare ogni giorno lo Shemah o di osservare il riposo del sabato frequentando la sinagoga. In tal caso non saremmo molto lontani dalla pietà popolare cristiana di qualche anno fa, quando pregare e osservare la festa erano le cose più importanti inculcate. Gesù risponde invece che il precetto più importante non è pregare, ma amare, perché la preghiera senza l’amore è vuota. Aveva messo questa esigenza al centro del Discorso della montagna quando aveva detto: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (5,48). Non intendeva dire che il cristiano deve imitare le perfezioni infinite di Dio come l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza. Oltre che impossibile, sarebbe assurdo e mostruoso. Voleva dire di imitare la perfezione di Dio nell’amare, per essere “figli del Padre che è nei cieli” il quale non ha nemici, e “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni” (5,45ss).
La risposta sorprendente e assolutamente originale di Gesù sta nel mettere insieme, sullo stesso piano, l’amore di Dio e del prossimo, dopo aver ridefinito il concetto di “prossimo”. Al primo posto c’è l’amore per Dio che deve essere al centro della vita di ogni credente. Gesù formula questa esigenza con le parole stesse della preghiera ebraica citata sopra. Tira in campo perciò le tre energie spirituali dell’uomo: il cuore, l’anima, la mente, cioè i sentimenti, la volontà, l’intelligenza. Ciò gli serve per far capire che l’uomo deve amare Dio con tutto se stesso, con tutte le sue risorse e le sue capacità, mettendo Lui al primo posto nella vita. Nulla può essere preferito a Dio, né padre, né madre, né moglie, né figli, né tanto meno il lavoro e il guadagno, la carriera e il divertimento (10,37). Questo non vuol dire disumanizzarsi, uscire dal mondo e vivere in un altro pianeta. Gesù non era un idealista disincarnato, sapeva che l’uomo ha estremo bisogno di quei sentimenti umani che lo legano alla famiglia e alla società. Perciò sottolinea subito che, accanto a questo dovere primario di amare Dio, ce n’è un altro di pari valore, ugualmente importante: “Il secondo (comandamento) è uguale (òmoios) a quello: amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Questa stretta connessione ha per Gesù un valore fondamentale: da essa dipende l’intera rivelazione di Dio (Legge e Profeti), tutto il suo Vangelo. Qui c’è tutto, perché qui si radica tutta la morale cristiana; senza queste due esigenze di fondo non c’è morale, c’è solo freddo legalismo di un codice senz’anima. Gli altri precetti non sono annullati, sono considerati conseguenze di questi due. L’amore di Dio e del prossimo sono come i due cardini sui quali gira tutta la morale cristiana; senza di essi tutto scade e nulla si regge più. Se non ami, tutto è vuoto; se non agisci per amore, agisci per paura o per abitudine; le tue azioni allora sono senza senso e valore. I due precetti sono talmente inseparabili che Gesù può parlare dell’amore del prossimo come del suo comandamento specifico, anche se era inculcato già dal libro del Levitico (19,18).
Il concetto di prossimo era limitato per lo più al parente, al connazionale, al membro della stessa religione ebraica. Con la parabola del samaritano compassionevole, Gesù, rispondendo proprio ad una domanda di un dottore della legge, aveva rotto gli argini di questa concezione nazionalistica ed esteso il concetto di prossimo ad ogni uomo (Lc 10, 29-37). Già nel Discorso della montagna aveva corretto drasticamente l’idea che gli ebrei avevano del prossimo: “Fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste” (5,43). Nell’ultima cena aveva lasciato come suo testamento queste parole solenni: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come vi ho amato io, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34s). Ormai tutto è chiaro: l’amore di Dio passa attraverso l’amore degli uomini, altrimenti è falso e illusorio. A scanso di equivoci, Giovanni, l’apostolo dell’amore, scrive: “Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo. Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’, e odiasse il suo fratello, sarebbe un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,19-21). L’amore di Dio apre la strada all’amore del prossimo; l’amore del prossimo è la verifica del vero amore di Dio. L’uno non esiste senza l’altro.