Oggi la liturgia ci fa cantare una delle liriche più belle del Salterio, il canto del Dio pastore (Sal 23). Ci sentiamo fasciati dalla compagnia e dalla cura amorosa del Cristo risorto che cammina con noi e ci guida per il giusto cammino. Sentiamo la gioia di poter ripetere con grande pace e serenità : “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce, mi rinfranca, mi guida… Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Dietro l’antica immagine, ormai in disuso ma pur sempre suggestiva, si nasconde l’amore grande di Dio per noi, l’amore di un Padre che non abbandona mai i figli a se stessi.
L’immagine del Pastore sulle labbra di Gesù è carica di risonanze affettuose. Il pastore era compagno di vita del suo piccolo gregge, con esso viveva da mattina a sera, con esso condivideva la fatica, le marce, la fame, la sete, il sole cocente e la pioggia, le paure e le angosce del deserto, la gioia e la pace delle valli ombrose ricche di acqua e di pascolo. È l’immagine amica del Dio-con-noi. Prototipo di ogni guida e compagnia autorevole nella Chiesa. Esprime l’amore, la cura, la responsabilità educativa, la vicinanza, la familiarità, la condivisione più piena. Cerchiamo di ricostruire l’ambiente al quale la doppia immagine, della ‘porta dell’“ovile” e del “pastore delle pecore”, fa riferimento. Siamo al mattino presto, quando si apre la porta dell’ovile e il pastore conduce al pascolo il suo gregge. L’ovile è un recinto all’aperto, uno stazzo, circondato da mura per tenere al sicuro le pecore nelle ore notturne, quando ladri e lupi possono insidiarle più facilmente.
Gesù allude a questi rischi tutt’altro che ipotetici quando afferma che il vero pastore entra nell’ovile attraverso la porta, il ladro e il bandito scavalcano il recinto per rubare e uccidere, evitando così il controllo del guardiano notturno che dormiva accanto alla porta. In polemica con le autorità del suo tempo, egli dichiara: “Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e banditi”. Nell’ovile recintato vari proprietari raccoglievano le loro pecore, in spazi interni divisi e con gli animali marchiati per consentirne il riconoscimento. Ogni mattina presto ogni pastore si presentava alla porta dello stazzo per ritirare il suo gregge e condurlo al pascolo. Il guardiano, che lo conosceva bene, gli apriva la porta e gli consentiva l’evacuazione delle sue pecore. Spesso, per radunarle più speditamente il pastore le chiamava con nomignoli affettuosi, tanta era la confidenza e l’amore e la conoscenza reciproca che li univa.
Il pastore si metteva allora alla testa del suo gregge, che lo seguiva docile, e iniziava così la lunga giornata in pastura per campi e valli fino a sera, quando le pecore venivano munte prima di essere rinchiuse di nuovo nell’ovile. A questo clima di lavoro, di serenità e di pace Gesù fa riferimento nella nostra duplice allegoria. La prima immagine usata da Gesù è proprio quella del pastore che si presenta alla porta dell’ovile per raccogliere le sue pecore e condurle al pascolo. Non ha bisogno di scavalcare il muro di nascosto come un predone, perché il guardiano lo conosce bene e gli apre la porta. Ma soprattutto lo conoscono bene le sue pecore, che gli si stringono subito intorno, desiderose di udire la sua voce e di seguirlo al pascolo. Gesù traccia qui un quadretto sintetico di grande efficacia, dove descrive una specie di dialogo affettuoso tra lui e le sue pecore, un dialogo fatto di cenni, di sguardi, di parole appena sfiorate: “Le pecore ascoltano la sua voce, egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori”.
Non è difficile ricostruire la scena delicatissima: le ore notturne hanno creato una specie di distacco affettivo, che alla luce dell’alba viene colmato. Quando il pastore riappare sulla porta, i colli delle pecore si tendono verso di lui, un belato di gioia lo accoglie, le pecore scalpitano con impazienza, bramose di uscire con lui e ristabilire la sua familiare compagnia. Poi il pastore le fa uscire ad una ad una, contandole, e si pone alla testa del gregge. Inizia così il cammino di un nuovo giorno da condividere insieme. È l’immagine plastica della sequela cristiana, quella che hanno vissuto i primi discepoli, che ogni mattina si rimettevano in viaggio con il loro maestro-pastore per i villaggi della Galilea, e che anche noi dovremmo rivivere ogni giorno nella fede. Bastò che all’inizio Gesù li avesse invitati con un secco comando colmo di affetto: “Vieni e seguimi”, e loro non si staccarono più da lui.
È una verifica che siamo chiamati a compiere ogni giorno, perché la sequela di Cristo è esigente e seria. Quella parola, che chiama per nome, risuona ancora e invita tutti e ciascuno. A quella del “pastore” Gesù affianca un’altra immagine, quella della “porta” dell’ovile, anch’essa riferita personalmente a lui con un’auto-definizione particolarmente sottolineata: “in verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore”. La particolare insistenza vuole indicare l’indispensabile ed esclusivo ruolo salvifico di Gesù, in confronto ad ogni altro maestro e pastore. La porta è l’accesso obbligato per raggiungere le pecore e l’unico loro passaggio verso l’esterno. Non possono scavalcare il recinto, devono passare dalla porta per entrare ed uscire. Gesù vuole dire, con questa sua definizione, che egli è l’unica e assoluta via di salvezza per tutti, l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. È escluso ogni altro concorrente, tutti devono passare attraverso lui.
L’affermazione ne richiama altre simili, come: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6), o: “Senza di me non potete far nulla” nel campo della salvezza personale e collettiva. Scegliere Cristo come porta della vita vuol dire essere liberi e capaci di raggiungere i pascoli della vita, avere la fede che rende liberi e sicuri. Il cristiano sa che ha un unico maestro e guida della vita, col quale deve sempre confrontarsi per non smarrirsi e per avere nutrimento sicuro, ma sa anche che Gesù è la sua unica via di salvezza: non può correre altre strade, non può imboccare altre porte.