Un’impressione strana e un sentimento struggente ha destato in molti la visione di immensi fuochi che distruggevano, come scorie inutili e rifiuti ingombranti, cataste di animali. Un olocausto reso necessario per fermare la contagiosa e mortale malattia degli animali. Si è cominciato con le mucche pazze o sospette tali, poi con le pecore e gli agnelli, affetti da afta epizootica. Una vera carneficina di centinaia di migliaia di animali. Non ricordo un fatto del genere nella storia contemporanea. Un rogo che ha prodotto immense nuvole nere di fumo dall’odore acre della carne bruciata. Un tempo, nelle religioni pagane e nell’ebraismo, era un rito sacrificale denominato olocausto, offerto a Dio per espiare i delitti commessi dalla comunità. Oggi è una difesa necessaria per la salute e l’igiene del continente europeo. Che fosse un tragico richiamo alla debolezza dell’uomo moderno di fronte alle forze negative della natura, un severo avvertimento che lo renda più riflessivo e consapevole dei suoi limiti e quindi della responsabilità dei suoi comportamenti? Alla ubriacatura delle recenti tecniche di clonazione e di manipolazione dell’essere vivente si contrappone l’incapacità di far fronte ad una malattia già conosciuta che si riesce a combattere solo con il fuoco, come facevano gli antichi. Ma c’è qualcosa di più tragico nella storia contemporanea. Il fuoco che brucia essere umani. L’ultima notizia è quella del rogo che ha letteralmente carbonizzato una bambina lasciata in una culla dentro una roulotte. Fatti di questo tipo se ne sono verificati molti in queste ultime settimane, e siamo inorriditi al semplice pensiero che persone umane possano essere bruciate vive per ragioni puramente occasionali e fortuite. E c’è ancora di più quando veniamo a sapere che alcune persone sono state bruciate intenzionalmente da qualcuno che voleva la loro morte, anzi la distruzione totale, da poter non riconoscere la vittima di tanto odio. Ricordo due fatti successi in queste ultime settimane in Umbria: la ragazza tunisina nei pressi della piscina comunale a Perugia, e l’albanese in un casolare nella campagna della zona di Marsciano. Il fuoco non fatuo, non storico, non mitico, ma quello reale provocato con arte e cura, come quello del figlio che ha bruciato il padre professore dopo averlo ucciso, è l’immagine perfetta della passione più devastante e infernale: l’odio che non conosce limite alla atrocità e si illude di poter annientare insieme alla persona, anche il delitto e le sue tracce. Dietro a tutto questo c’è la misteriosa presenza del Male, se si vuole, del Maligno, che la nostra società pensa di poter rimuovere dal proprio orizzonte culturale e dall’immaginario collettivo, sicura di poter affrontare ogni ostacolo e ogni impresa con i propri mezzi, non volendo riconoscere la propria nudità. E’ una forma di narcisismo collettivo che trasmette ai giovani l’illusoria prospettiva di onnipotenza che offusca il senso e lo spessore della realtà e induce i più deboli a commettere cose assurde e abominevoli.
Al rogo le illusioni di onnipotenza
AUTORE:
Elio Bromuri