Ai catecumeni e ai penitenti in cammino verso la Pasqua bisognava dire quale fosse il nucleo centrale del Vangelo portato da Gesù, che cosa sia da credere con tutte le forze. Oggi Giovanni ci comunica la sintesi dell’insegnamento di Gesù. È una visione inaudita di speranza e di fiducia, capace di orientare positivamente l’intera vita del credente. Siamo a Gerusalemme durante la festa di Pasqua, che Gesù sta trascorrendo in città dopo la cacciata dei mercanti dal Tempio. Un vecchio rabbino fariseo, di nome Nicodemo, viene da lui di notte per non farsi vedere dai colleghi. È curioso di sapere che cosa insegni Gesù, quale sia il contenuto della sua dottrina. Gesù gli risponde, come era naturale, che l’argomento centrale della sua predicazione è il regno di Dio venuto tra la sua gente. In pratica insegna che, nella sua persona, Dio stesso è venuto tra gli uomini e mette a disposizione di tutti la sua regalità potente, capace di liberare dal male. Ma per vederlo, e ancor più per entrare in contatto con lui, bisogna nascere di nuovo con l’acqua del Battesimo. Si tratta di una nascita dall’alto, una vita che viene da Dio, trasmessa dallo Spirito santo, che è come l’alito divino che rese vivo il primo uomo.
Il vecchio rabbi, che pone diverse obiezioni, può credergli, anche se sembra impossibile, perché lui, il Figlio dell’uomo, viene dal cielo e sa quello che dice. La sorgente di tutto questo è l’inaudito amore di Dio per il mondo. A questo punto inizia il discorso che oggi ascoltiamo. Al dialogo con il vecchio rabbino incredulo segue un monologo in cui l’evangelista riassume il messaggio paradossale che Gesù gli trasmette. Egli, che è maestro in Israele, ricorderà che Mosè innalzò sopra un’asta un serpente di bronzo per guarire tutti quelli che erano morsi dai serpenti nel deserto. Il libro dei Numeri (21,4-9) racconta l’ennesima rivolta del popolo ebreo in cammino da circa quaranta anni verso la terra promessa. Stanco del lungo viaggio, lamentava la mancanza di pane e la scarsità di acqua, nauseato dalla manna troppo leggera. Dio lo punì con serpenti velenosi, particolarmente numerosi in quei luoghi inospitali. I ribelli, incapaci di arginare quella tragica emergenza, ricorsero pentiti a Mosè perché si facesse intercessore presso Dio. E Dio gli comandò di fondere un serpente di bronzo come segno tangibile della salvezza.
Quel serpente seguì gli ebrei come uno stendardo fino all’ingresso nella loro terra, e fu posto nel tempio di Salomone come ex-voto per la salvezza ricevuta. Il re Ezechia, nell’VIII secolo a.C., lo fece distruggere, perché era diventato una specie di totem in concorrenza con Dio (2 Re 18,14). Gesù rivela a Nicodemo e a noi che quel serpente era simbolo profetico del suo innalzamento sulla croce. Lui, disceso dal cielo in terra, sarà innalzato da terra come un malfattore crocifisso. Ma Dio lo farà diventare strumento di salvezza per chiunque si volgerà a lui con fede. Gesù sfrutta del simbolo solo l’aspetto positivo della salvezza, non quello negativo della punizione del peccato. Sviluppa tre aspetti della profezia raffigurata: l’elevazione, che è come il primo gradino della sua ascensione in cielo; il potere salvifico della sua morte di croce; la volontà amorosa di Dio. Si parte dagli effetti (la croce) per risalire alla causa (l’amore).
Con una frase scultorea posta al centro del suo discorso, Gesù riassume ora tutto l’annuncio cristiano, il suo Vangelo: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”. L’unico esclusivo motivo della incarnazione e morte del Figlio di Dio è l’amore incomprensibile di Dio per il mondo, quel mondo degli uomini che si era allontanato da Lui. In un sol colpo egli colma l’abisso che si era aperto tra lui e gli uomini. Giovanni ricorderà queste parole quando dirà: “Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui” (1 Gv 4,9s). Dietro il verbo ‘donare’ non c’è solo la missione, ma tutta la vita di donazione del Figlio, dalla nascita alla straziante morte di croce. Egli ci ha amato per primo, quando ancora eravamo peccatori (Rom 5,6-8), e ha donato senza calcoli, fino in fondo: “Non ha risparmiato suo Figlio ma lo ha donato per tutti noi” (Rom 8,32).
Se non avessimo afferrato bene il suo pensiero così inaudito, Gesù lo formula in maniera ancora più chiara in forma negativa: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Il termine “mondo” in questa frase ricorre ben tre volte per farci capire la dimensione universale dell’amore di Dio. Egli ama incondizionatamente tutti, non solo alcuni eletti e selezionati. Per tutti ha donato Gesù, perché tutti siano salvi. Accanto alla sua indomabile volontà di salvezza non c’è una volontà, sia pure nascosta, di condanna. Dio vuole tutti salvi (1 Tim 2,4), cioè vuole donare a tutti la “vita eterna”. Con questa espressione non si indica solo la vita senza fine, ma la vita che appartiene all’eternità, cioè a Dio; in una parola la vita divina dei figli di Dio, quella che Gesù ci comunica mediante la nuova nascita dall’alto nel battesimo, come aveva detto a Nicodemo. Unica condizione soggettiva è la fede, che Dio offre a tutti, ma che può essere rifiutata colpevolmente dagli uomini, liberi di scegliere. Il sole splende per tutti nel mondo; ci si può nascondere da lui, allora però ci si condanna automaticamente a vivere nelle tenebre.
Gesù è la luce del mondo, come il sole che sorge per tutti, ma può essere rifiutato. Su questa accettazione o su questo rifiuto l’uomo si gioca la sua salvezza o la sua condanna. Il vecchio Simeone, prendendo in braccio Gesù bambino, diceva che era qui “per la rovina e per la risurrezione di molti, segno di contraddizione” (Lc 2,34). Gesù dona al credente l’assicurazione che non sarà condannato, ma salvato nella vita eterna. Dio non chiude la porta nemmeno a chi non crede: resta a lui la responsabilità di aprirla o chiuderla davanti a sé. Nessuno riceve la condanna da Dio, ciascuno si condanna o si salva per libera scelta. Il rifiuto dell’amore di Dio è la vera autocondanna. L’uomo, come un ladro, può rifiutare la luce pensando di poter nascondere la sua cattiva condotta e agire impunemente. Ma a Dio non si può nascondere nulla, ogni segreto dovrà venire allo scoperto quando la sua luce di gloria apparirà. A questo incontro di luce dobbiamo preparaci con fiducia: sarà un incontro di amore e di gioia.