di Tonio Dell’Olio
Pur con tutti i problemi legati alle forme di povertà e alla carenza di istruzione tipiche purtroppo di molti Paesi africani, il Burkina Faso non aveva mai avuto il terrorismo. Ma il 12 maggio in una chiesa di Dablo, nel centro-nord del Paese, un gruppo di uomini armati è entrato in una chiesa sparando all’impazzata e uccidendo sei persone, tra cui il parroco.
Il giorno dopo, altre quattro persone sono rimaste vittime di un attacco armato contro una processione nella cittadina di Ouahigouya.
Con ogni probabilità si tratta di infiltrazioni del terrorismo di origine islamica che proviene dal vicino Mali. A rendere ancora più triste il fatto non è solo che, intontiti dalle beghe della politica nostrana, da noi non se ne è parlato più di tanto, ma soprattutto che non si sviluppano analisi serie su questo fenomeno che si allarga pericolosamente a macchia d’olio nella vicina Africa.
Dovremmo interessarcene non solo perché la violenza terroristica rende ancora più fragile il contesto africano, ma anche per arginare un fenomeno sempre in agguato che, se sceglie i cristiani come obiettivo principale, non ambisce che di colpire anche l’Europa e soprattutto l’Italia.
Interessarcene non vuol dire iniziare un conflitto armato, ma mettere piuttosto in campo tutti gli strumenti nonviolenti dall’ intelligence all’educazione. Forse la missionarietà che ci viene richiesta oggi è in buona parte di questo tipo.