Quando il profeta Elia fu assunto in cielo in un carro di fuoco, il suo discepolo Eliseo gli gridò dietro tutta la sua disperazione per il grande vuoto che lasciava (2 Re 2,11s). Quando salì al cielo Gesù, non comparve nessun carro di fuoco, né ci furono scene di dolore o di pianto, come ci racconta il libro degli Atti degli apostoli nella prima lettura di oggi. Tutto si concluse in pochi attimi, tanto da sembrare un evento semplice e normale. I discepoli videro Gesù staccarsi da loro, “fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi”. Era come uno che tornava a casa dopo essere stato in compagnia di amici. I discepoli rimasero cogli occhi fissi in alto come incantati a vederlo partire, senza un cenno di saluto magari con la mano. Finché vennero due angeli a distoglierli dal loro incanto e ad annunciare che Gesù sarebbe tornato alla fine dei tempi, proprio su quella nube che lo aveva avvolto (At 1,9-11).
È sorprendente la sobrietà dei racconti dell’ascensione di Gesù in cielo. Quello degli Atti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura biblica di oggi, è addirittura il più ampio, pur nella sua stringatezza. Altri due riferimenti ancora più sintetici li abbiamo alla fine del Vangelo di Luca e a conclusione del Vangelo di Marco che oggi leggiamo. Luca se la cava scrivendo: Gesù “condusse i suoi discepoli fuori, verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su in cielo” (Lc 24,50s). Il brano del Vangelo di Marco che ci viene proposto oggi è ancora più sobrio: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio”. Il breve racconto fa parte di una finale (Mc 16,9-20) che non fu scritta inizialmente da Marco, ma fu aggiunta in un secondo momento al suo Vangelo per completare il racconto, che finiva bruscamente con l’annuncio della risurrezione di Gesù alle donne da parte degli angeli nella tomba vuota. Bisognava completare lo scritto, sia pure in maniera sintetica, con il racconto delle apparizioni di Gesù risorto, come avevano fatto gli altri evangelisti. Allora Marco, o chi per lui, inserì il brano che leggiamo prendendolo dalla tradizione orale della Chiesa apostolica, già in circolazione.
Gli studiosi hanno riconosciuto il carattere arcaico del racconto, che appare addirittura più antico dello scritto di Marco. Comunque, nessun problema di autenticità e di autorevolezza apostolica fu mai sollevato. Dietro c’è la stessa mano dello Spirito santo che ha ispirato i Vangeli e ha lavorato “in tandem” con gli evangelisti. Cerchiamo di capire la dinamica del racconto. Esso narra l’apparizione di Gesù agli Undici (tali sono rimasti dopo il tradimento di Giuda) radunati insieme. Si tratta di certo dell’apparizione più importante fatta a testimoni qualificati, incaricati poi di annunciarla al mondo come autentico Vangelo. Certamente non fu l’unica apparizione del Risorto ai suoi collaboratori nei quaranta giorni che precedettero l’ascensione. Luca e Giovanni collocano la prima di queste apparizioni la sera stessa di Pasqua nel cenacolo (Lc 24,36-43; Gv 20,19-23), Matteo e Marco collocano l’ultima apparizione in Galilea, in prossimità del quarantesimo giorno (Mt 28,16-20; Mc 16,14-19).
Non è importante l’esatta cronologia delle apparizioni, l’essenziale è l’esperienza piena del Risorto compiuta dagli apostoli prima di essere inviati nel mondo. Infatti questa esperienza, più volte fatta, è legata indissolubilmente, in tutti quattro i Vangeli, all’invio degli Undici in missione. Matteo la formula con parole simili a quelle di Marco: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che io vi ho comandato” (28,18s). Luca presenta le apparizioni del Risorto come una vera scuola di ripasso, una specie di rilettura consapevole, alla luce dell’intera Bibbia, dei tre anni che i discepoli hanno trascorso al seguito di Gesù: “Allora aprì la loro mente a comprendere le Scritture” (24,45). Marco pone al centro del suo racconto l’ascensione di Gesù, sulla quale concentra l’attenzione dei suoi lettori. La descrive in modo sintetico con un linguaggio biblico già usato da Gesù durante il processo davanti al Sinedrio: “Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo” (14,62).
L’ascensione è presentata come una intronizzazione regale divina alla destra di Dio Padre e un trasferimento di pieni poteri universali al Signore risorto (Mt 28,18). Così aveva cantato il Salmo 110: “Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Nel Vangelo è scomparsa la figura del guerriero che celebra il suo trionfi contro i nemici, ed è subentrata la figura del sovrano sacerdote “seduto alla destra del trono della maestà divina, ministro del santuario e della vera tenda che il Signore ha costruito” (Eb 8,1s). Egli è lì “sempre vivo a intercedere efficacemente e ininterrottamente per noi” (Eb 7,25). Tutto questo è avvenuto già nel giorno della risurrezione di Cristo, perché allora Gesù rientrò in possesso della sua gloria, quella che aveva prima della creazione del mondo.
La Lettera agli Efesini lo dice chiaramente: “Il Padre lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli” (Ef 1,20). Il giorno di Pasqua lo stesso Gesù aveva detto alla Maddalena: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17). La resurrezione e l’ascensione si sovrappongono, perché ambedue esprimono la piena glorificazione di Gesù. Sono come le due facce della stessa medaglia. L’ascensione qui riferita segna la partenza definitiva di Gesù, dopo i quaranta giorni delle apparizioni. Ora egli tornerà in terra visibilmente e ufficialmente solo alla fine dei tempi. Questo non significa che Gesù sia sparito definitivamente dal mondo. Matteo gli fa dire: “Io sono con voi fino alla fine del mondo” (28,20).
Marco, dopo l’invio degli apostoli “a proclamare il vangelo ad ogni creatura”, aggiunge che “essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”. Dunque è vero che Gesù si è reso invisibile, rientrando nella sua dimensione divina dopo l’incarnazione e la passione, ma non è scomparso dal mondo. È presente in modo diverso accanto a ciascuno di noi, e specialmente nella sua Chiesa dove agisce insieme ai suoi ministri nella predicazione e nei sacramenti. Oggi siamo radunati per pregarlo, per incontralo nella fede, per chiedergli di non lasciarci mai soli nel difficile cammino della vita.