Tatiana era la più bella ragazza della mia comunità. Una ragazza russa. “Era”, perché il 17 maggio scorso un infarto l’ha uccisa, a 38 anni, nella Comunità residenziale di Padule, quella retta da don Roberto Revelant. Alla 8 di mattina. In pochi minuti. Anche io sono corso subito. Le operatrici singhiozzavano forte senza pudore. Irina la teneva in braccio, sollevandola dal letto, ed era scossa da singhiozzi profondi, mentre un lamento lungo e protratto, senza forma, le usciva di bocca.
Avevano (avevamo) fatto di tutto perché quel poco di vita che riusciva ancora ad attivare fosse il più possibile piena.
Perché Tatiana Mechkova, la più bella ragazza della mia comunità, era stata colpita da un handicap duro e molteplice nel pauroso incidente stradale che aveva subìto mentre viaggiava “con il suo uomo”. Talmente “suo” che da quel giorno era scomparso.
Viveva come rattrappita sulla sua carrozzina speciale, con le braccia totalmente rigide e la testa quasi sempre reclinata. A volte delle contrazioni improvvise la facevano soffrire, e in quei momenti piangeva forte, poi il sorriso tornava, limpido.
E mangiava di gusto, davvero! “Sorridi, Tati!”, e lei faceva il muso di topo. “Come va, Tati?”. “Bene”. Sempre bene.
È stata una giornata molto brutta. Poi la sera ci siamo riuniti per dire il rosario e io ho provato un qualcosa che – credo – non proverò più in vita mia. Una commozione mista ad ammirazione, un dolore intriso di entusiasmo: sì, di entusiasmo, perché il fatto che l’avessero pettinata e truccata, rendendola bellissima, l’ho subito inteso come una doverosa ribellione alla morte, una protesta ma più forte di quella che in tv (ricordate?) ci fece vedere Claudio Villa: Vita sei bella, morte fai schifo! Fiori dappertutto.
Era bellissima, Tatiana. Bellissima. Atletica, sicuramente più alta di un un metro e 80; una nazionale di volley: la postura che aveva sulla sua carrozzina non permetteva di rendersene conto. Era bellissima. Io non riuscivo a staccare gli occhi da quel volto, fulgido di pace, mentre tutti rispondevamo a don Roberto che diceva il rosario, e saliva di litania in litania: “Prega per lei! Prega per lei!”.
Madre meravigliosa, prega per lei! Regina della famiglia, prega per lei! Aiuto dei peccatori, prega per lei! Per lei e per il suo uomo, che non ha perso un minuto per abbandonarla…
Ho baciato il rosario che portava intrecciato tra le mani. Avrei voluto dirle ancora una volta: “Tati, sorridi!”. Sarebbe stato inutile, lei già sorrideva al suo Dio, suo davvero, quello che aveva incontrato in ogni liturgia eucaristica, in parrocchia o in comunità. Addio, Tati! Ad Deum!