“Tu sei mio figlio!” (Salmo 2). Con questa certezza sono tornati a casa gli educatori umbri che hanno partecipato al camposcuola regionale “La linea d’ombra! Mi offrono un incarico di responsabilità” tenutosi a Roccaporena (Pg) dal 2 al 5 gennaio scorsi e organizzato dall’équipe regionale dell’Azione cattolica ragazzi. La paternità di Dio è stato lo ‘scoglio’ al quale i partecipanti si sono aggrappati per riscoprire la propria fede e mettere in discussione la propria scelta vocazionale al servizio educativo. Come comunità dei figli di Dio, la Chiesa è il luogo dove ciascuno può incontrare questo Padre e sperimentarne l’amore. Il primo giorno di campo un video provocatorio ha mostrato agli educatori le opinioni di persone che poco o nulla apprezzano della Chiesa, affermandosi a volte comunque credenti. Molte idee sono state condivise anche da loro che, come quelle persone, rimanevano perplessi di fronte ad atteggiamenti contrastanti o addirittura anti-evangelici. Come comunità di uomini, ricordava infatti don Matteo Antonelli, assistente Acr della diocesi di Terni-Narni-Amelia, la Chiesa non sfugge al peccato, all’incoerenza, alle tentazioni. Anche per questo la nostra fiducia non è riposta nella Chiesa, ma in Chi l’ha creata; è in quanto creazione di un Dio trino ed unico per la salvezza del mondo che noi crediamo imprescindibile farne parte. Occorre poi riflettere su quale immagine della Chiesa passa attraverso il nostro pensare e agire, soprattutto con i ragazzi. Spesso poi l’incoerenza di cui si accusa la Chiesa dipende dal naturale comportamento di chi ama, spesso contraddittorio se visto con occhi superficiali, ma sempre legato a quell’Amore che non muore. Chi veramente ama, infatti, sa accogliere nella relazione tutta la realtà della persona, con pregi e difetti, punti di forza e fragilità. Così come Gesù amò Pietro nonostante tutto, di un amore profondamente umano (Gv 21,15-17), a noi è chiesto di amare di questo amore la Chiesa, che da parte sua ci ama e ci accoglie sempre.
Martino Nardelli dell’Ufficio centrale nazionale Acr nel secondo giorno ha sollecitato gli educatori a verificare il proprio amore per Dio e la Chiesa prima di intraprendere un qualsiasi tipo di servizio, soprattutto quello educativo: i ragazzi devono poter sperimentare questo amore accogliente della Chiesa attraverso la nostra testimonianza. Ecco allora che ritorna prepotente la riflessione sul proprio modo di essere Chiesa, da soli ed insieme agli altri. Così nel terzo giorno l’esperienza del ‘deserto’ ha permesso agli educatori di cercare profondamente le ragioni che li spingono a far parte della Chiesa, le modalità con cui scelgono di farlo, le tentazioni cui sono sottoposti lungo il cammino. Alla fine della mattinata hanno infine trovato risposta anche a molti altri interrogativi che erano sorti nelle loro riflessioni, ricordandosi di essere figli di un Dio che rende beato chi in Lui si rifugia, come mons. Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, ha poi ricordato loro. Noi siamo come le tessere di un mosaico, belle ma non utili solo a se stesse: Gesù ci chiama per stare con lui, per trovare nel suo mosaico un posto che è solo nostro; noi possiamo riconoscerlo e viverlo solo mettendoci in ascolto umile e sincero. Solo se capiamo di essere prima figli di Dio nella Chiesa, chiamati prima di tutto a tornare a Lui attraverso di essa, siamo anche in grado di riconoscere la strada che ci permette di farlo insieme ai fratelli. Quel servizio ai ragazzi (che significa servire i ragazzi, non servire ai ragazzi) che scegliamo di intraprendere deve essere modellato sull’esempio di Gesù. Il brano che l’Ac ha scelto per questo anno associativo (Lc 9,10-17) ha aiutato gli educatori a capirlo nell’ultimo giorno di campo: “Ma le folle lo seguirono; ed egli le accolse e parlava loro del regno di Dio e guariva quelli che avevano bisogno di guarigione”. I ragazzi, come le folle, devono essere attratti dal nostro stare con Gesù, devono essere da noi accolti e amati per ciò che sono, devono poter ascoltare da noi parole che raccontino loro l’amore di Dio, ancor prima di essere aiutati in altre cose. Devono infine poter essere inondati dalla Luce che salva, non rimanere al di qua della nostra linea d’ombra. Ecco il nostro incarico di responsabilità.