Parole nuove, quelle con le quali Papa Francesco esprime oggi il servizio che la Chiesa è chiamata a rendere al mondo. Parole nuove, grazie alle quali (come dice l’invito alle invocazioni nelle lodi di oggi, mercoledì 17 febbraio) il Cristo “ci guida alla salvezza per fare di noi un’umanità nuova in un mondo pienamente rinnovato”. Splendido! Ne conviene anche colui che quell’invito l’ha redatto, tanto che aggiunge: “E veniamo invitati a lasciarci affascinare da questa meravigliosa vocazione”. Parole nuove. Ma di quelle antiche… cosa ne facciamo? Le lasciamo cadere nel tritatutto della dimenticanza?
Sarebbe un’eresia, perché anche coglievano un aspetto forte della configurazione del corpo della Chiesa: per questo andranno non abbandonate, ma ricalibrate, in modo da coglierne il nucleo semantico perenne, lasciando cadere gli orpelli e le superfetazioni. Esempio: “La Chiesa è una società perfetta”. Un momento, per favore! Certo che la Chiesa è una società perfetta! Giusto: il falegname che l’ha costruita era un tekton, uno che sapeva alla perfezione il suo mestiere, ma oltre che tekton era anche… Altro.
Per questo, la sua Chiesa Gesù l’ha assemblata facendone una società perfetta, perché, fra l’altro, cosucce imperfette… non sapeva farne.
“Perfetta” tuttavia non nel senso che, per il corretto esercizio del potere, l’ha articolata in legislativa, esecutiva e giudiziaria, bensì nel senso che, per il corretto esercizio del servizio, ha chiamato ogni socius ad assumersi il suo ministerium, sempre importante, sempre decisivo, ma ben diverso e complementare ad unguem – proprio come le tessere di un puzzle grande quanto il mondo – rispetto al ministerium affidato ad altri socii.
Le parole antiche per la Chiesa costituiscono un patrimonio prezioso da conservare e ricalibrare nella misura in cui la Chiesa, invece che dormicchiare contemplando il proprio ombelico all’ombra fresca dell’antica vigna, si interroga ogni giorno sui problemi più diversi, a cominciare da quello della propria identità al servizio del mondo.
Questo è stato vero da sempre, ma soprattutto dopo che il Concilio Vaticano II ha distinto tra Chiesa e Regno, realtà intimamente collegate, ma che non sono la stessa cosa. Al punto che l’appartenenza alla Chiesa deve oggi differenziarsi in appartenenza esplicita, formalizzata (Pio X: “La Chiesa è la società dei veri cristiani, cioè…”) e appartenenza implicita, che a volte si presenta più forte della prima. Come quella del poliziotto/eroe Roberto Mancini, che ieri sera e lunedì sera Rai Uno ci ha sbattuto in faccia, finalmente! L’avete visto? Io sì, e m’ha traumatizzato.