A quegli enormi breviari forse lavorò perfino Giotto

Mostra su 'I corali di San Domenico di Perugia'

Gran committenti, i Domenicani perugini del Medioevo! Tra i pittori che lavorarono alla decorazione dei loro libri corali, pare ci fosse nientemeno che Giotto. A lanciare l’ipotesi è la storica dell’arte Marina Subbioni, nel contesto della mostra ‘Canto e colore. I corali di San Domenico di Perugia nella Biblioteca comunale Augusta’, aperta fino al 17 aprile nel capoluogo umbro. All’epoca, i frati cantavano il breviario tutti insieme, leggendo il testo su un unico, enorme volume collocato su un leggio al centro del coro. Si tratta di libri realizzati con infinita cura da specialisti. Va infatti distinto il ‘pittore’, che tracciava i contorni dei disegni, dal ‘miniatore’, che li colorava, oltre a produrre gli arzigogolati capolettera con cui iniziano le pagine. Ed è nella fase di pittura che, secondo la Subbioni, potrebbe essere intervenuto il futuro maestro di San Francesco, all’epoca ancora giovane. ‘Un Giotto camuffato dalla coloritura di qualche miniatore’, afferma. L’idea non è campata per aria: ‘Un documento del 1309 attesta che Giotto intratteneva relazioni di lavoro con Palmerino di Guido, ossia – secondo me – il Primo miniatore perugino’, conclude la studiosa. Infine, se si osserva il testo scritto, si nota l’incredibile perfezione di ogni segno. Merito del polso fermissimo dell’amanuense? Non solo: si usavano delle mascherine, come negli attuali stencil. I Domenicani si insediarono a Perugia nel 1234, quando il podestà del Comune donò loro la pieve di Santo Stefano. Lo studium (laboratorio di studio e scrittura) venne fondato nel 1269, mentre il complesso monumentale di San Domenico cominciò a sorgere nel 1304. ‘Molto rilevante è il ruolo che i Domenicani hanno nella nascita dell’Università di Perugia – dice Claudia Parmeggiani, direttore della Biblioteca Augusta. – Nell’ultimo quarto del Duecento collaborarono infatti con le istituzioni al progetto di dotare la città di uno studio universitario’, contribuendo alla scelta degli insegnanti e occupandosi loro stessi, nei primi tre secoli, dei corsi di teologia. I corali hanno subito varie peripezie nei secoli. Dopo l’unità d’Italia, con la soppressione degli Ordini contemplativi, i libri passarono alla Pinacoteca civica, attuale Galleria nazionale dell’Umbria; dal 1907 si trovano alla Biblioteca Augusta, che recentemente ne ha approntata una versione digitale, in modo da renderli facilmente consultabili. 1860. L’anno che lo Stato si prese i libri dei fratiCosa ci fanno quei bei libri Corali in una biblioteca pubblica? Come sono arrivati dalla sacrestia della basilica di San Domenico agli scaffali librari del Comune? Cercare una risposta significa aprire una porta su una fase della storia d’Italia che viene poco e malvolentieri ricordata: la demaniazione dei beni della Chiesa e la chiusura, decretata dal Governo sabaudo del conte Cavour e non certo dal Papa, delle case religiose. Quei Corali sono la testimonianza di questi fatti. L’11 dicembre 1860 il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, Regio Commissario generale straordinario per le province dell’Umbria, emanava il ‘Decreto di soppressione delle corporazioni religiose (che oggi chiamiamo ordini e congregazioni), dei capitoli delle chiese collegiate, dei benefici semplici e delle cappellanie’ obbligando gli ordini religiosi a lasciare la città e trasferendo i beni di loro proprietà ad un ente del nuovo Stato che doveva farli fruttare. Già nel 1810 con il Decreto di soppressione di Napoleone di 48 conventi che erano a Perugia ne chiusero 20 per sempre. Nel 1860 poterono restare nei loro conventi solo i padri del Fatebene Fratelli per il loro ospedale di San Nicolò degli incurabili e i padri Benedettini che negli scontri del XX giugno avevano parteggiato per i perugini contro le truppe svizzere che cercavano di riportare la città sotto l’autorità del Papa, capo dello Stato pontificio. Verso i Domenicani ci fu un accanimento particolare perchè accusati di aver aiutato gli svizzeri e addirittura di aver sparato contro i perugini. Inoltre i Domenicani, fedeli al Papa fino all’ultimo, erano i custodi dell’ortodossia cattolica decidendo della censura o meno dei libri che custodivano nella biblioteca del Palazzo dell’Inquisizione, un patrimonio andato completamente perduto dopo la chiusura del convento. Per questi motivi furono spogliati di tutti i loro beni, anche degli oggetti di uso liturgico e cacciati da Perugia. In tutta l’Umbria c’erano diversi conventi domenicani ma solo a Perugia sono tornati a vivere negli anni trenta del XX secolo con il ritorno dei frati, in condizioni di grande povertà in poche stanze dietro la grande chiesa. In quel periodo di grandi rivolgimenti la stessa sorte toccò a tanti altri conventi. Ne sono muta testimonianza il museo Archelogico e Archivio di Stato ex convento di San Domenico, il distretto militare ex convento di Sant’Agostino, la facoltà di Agraria ex monastero di San Pietro, la sede del Rettorato dell’Università ex convento degli Olivetani, e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.

AUTORE: Dario RivarossaMaria Rita Valli