“A Sua Beatitudine, il Patriarca Twal, a nome della comunità parrocchiale di Guardea, esprimo la mia profonda gratitudine per la gradita e storica visita a Guardea e in questa nostra Chiesa in modo particolare. Ci sentiamo molto onorati della sua presenza, una presenza che non può passare inosservata a chi è attento alle vicende del mondo. In lei infatti è presente quella zona del Medio Oriente, zona di tensione, in cui lei sta portando avanti nel migliore dei modi l’impegno di far stare insieme due popoli, utilizzando soprattutto l’‘arma’ del dialogo”.
Con queste parole il parroco di Guardea, don Donato Katawa, ha salutato il Patriarca al termine di un solenne e suggestivo momento di adorazione eucaristica e di preghiera per la pace in Palestina e nel Medio Oriente. Momento storico per una piccola comunità cittadina, come per tutta la Valle Teverina rappresentata dai sindaci degli otto Comuni, presenti in chiesa, e poi alla cerimonia in Comune per il conferimento di un riconoscimento al Patriarca stesso. Buona la risposta anche della popolazione, nonostante l’avvenimento, celebrato in giorno feriale, abbia colto un po’ tutti di sorpresa.
Il Patriarca ha la responsabilità giuridica, quale nunzio apostolico, per tutte le comunità cattoliche d’Israele, della Giordania, della Siria e dell’Egitto: possiamo cogliere dunque la portata dell’evento! Particolarmente illuminante è stata la riflessione che il Patriarca Fouad Twal ha rivolto ai presenti, sottolineando il silenzio in cui è tornato il grave problema della Palestina, un silenzio che rischia di coprire, nell’indifferenza generale, tutto il problema mediorientale.
Sua Beatitudine con parole accorate e vibranti ha ricordato come Gerusalemme è sì la città della pace, ma dove le tre grandi religioni monoteistiche tutto fanno meno che stare in pace. Gerusalemme è sì la città della gioia, ma non c’è città al mondo dove si soffra di più a causa della divisione, dell’odio, della separazione delle famiglie, della paura quotidiana in cui si vive tutti ogni giorno. Gerusalemme, come tutta la Palestina, vive da sempre questo mistero di grandezza e di povertà, di speranza e di paura, di gioia e di sconforto allo stesso memento, così da far gridare a tanti: finché Gerusalemme non avrà pace, il mondo non sarà in pace.
Il Vescovo di Gerusalemme, successore di san Giacomo, oggi si rivolge a noi cristiani dell’Occidente e in particolare dell’Italia e ci chiede due cose: la preghiera degli umili che penetra le nubi e arriva fino al trono e al cuore di Dio. E ci chiede il coraggio di andare nella terra di Gesù, di non aver paura di recarci in Palestina, di fare pellegrinaggi: è un grande aiuto per aiutare luoghi e situazioni di povertà.
Un incontro grande, un incontro che può lasciare un segno nella storia della Valle Teverina, un incontro che mi ha toccato il cuore e sbattuto in faccia un problema che vorremmo tutti accantonare o far finta che non ci sia più! Peccato – riflettevo il giorno seguente -: peccato perché abbiamo perso un’altra occasione.
Certo perché le cose grandi e impegnative, sono silenziose, non fanno rumore, non fanno vendere i giornali: riesce meglio in questo una notizia triste e brutta di violenza, come puntualmente è avvenuto, proprio in quello stesso paese di Guardea il giorno seguente. Ma Gerusalemme continua a risplendere, con il suo fascino e il suo mistero, con le sue paure e la sua speranza, perché lì, nella città santa, ci si creda o no, ha avuto inizio la nostra salvezza, in un mattino di Pasqua, primo giorno della settimana e di un mondo nuovo.