Assisi 2011: verità e pace

La storica giornata del 27 ottobre ad Assisi. Un bilancio. La verità, insieme al pellegrinaggio, era la nota distintiva dell’evento del 27 ottobre. Lì si è anche vista la verità circa l’atteggiamento

La profezia è confermataPiù di un motivo ci fa rallegrare per quanto si è realizzato il 27 ottobre scorso ad Assisi, in occasione del venticinquesimo del grande evento voluto da Giovanni Paolo II. Innanzitutto, la profezia di quell’evento è stata confermata e rilanciata. Non era scontato. Molte voci avevano insistito sulla “differenza”, in questa materia, tra la sensibilità di Papa Wojtyla e quella di Papa Benedetto XVI. Si ricordava che questi non aveva personalmente preso parte all’evento del 1986 e si immaginava che ciò implicasse una presa di distanza. In realtà, già nella lettera che il Papa mi scrisse nel ventesimo, una tale lettura era ampiamente fugata. Il Papa sottolineava infatti la legittimità di quanto operato dal Beato predecessore. Naturalmente si preoccupava di evidenziare alcuni rischi, ma ciò era stato anche una preoccupazione di Giovanni Paolo II: non si doveva cedere in alcun modo a una presentazione delle religioni all’insegna del relativismo e del sincretismo. Chiarito questo, Papa Benedetto non esitava a mettersi in onda con lo “spirito di Assisi”. Dialogo con non credenti aperti al misteroNel venticinquesimo lo ha fatto in grande stile. Non più solo un documento, ma un pellegrinaggio. Non ha ripetuto tutti i particolari della formula precedente, ma, sotto qualche aspetto, l’ha arricchita. Organizzando la preghiera come un pellegrinaggio silenzioso, e non come una contestuale e pubblica espressione orante delle varie religioni, ogni equivoco è stato superato sul punto più delicato. In compenso, la linea più asciutta della recente celebrazione commemorativa, rispetto all’evento di venticinque anni or sono, si è rivelata non meno sostanziosa e non meno interessante. Tanto più che l’approfondimento è stato aperto anche all’ambito dei non credenti aperti al Mistero e al dialogo sul tema generale dell’autentico umanesimo. L’impostazione è coerente con quanto costituisce un tema dominante del Pontificato di Papa Benedetto. Il Pontefice ha voluto porre con forza, in relazione alla pace, la questione della verità. Tutto il suo discorso a Santa Maria degli Angeli è stato una vibrante perorazione dell’importanza della verità proprio a fondamento e garanzia della costruzione della pace. Non si è sottratto al realismo storico quando ha riconosciuto che, purtroppo, molte volte la verità religiosa è stata assunta come motivo di guerre sante ed è stata fonte di violenza. Ha denunciato ciò come una patologia dell’esperienza religiosa. Il riconoscimento delle colpe cristiane in questa materia gli ha fatto dire che ne siamo “pieni di vergogna”. Torna così l’accento penitenziale che ha contraddistinto molti atti del precedente pontificato e dello stesso attuale Pontefice. Ma è stato ribadito che, a costruire la pace, non si può pensare che possa risultare più utile ed efficace lo scetticismo o il relativismo. Questo avrebbe la conseguenza di aprire uno spazio non governabile a qualunque tipo di opinione, anche a quelle ispirate a violenza. La pace sarebbe tutt’altro che garantita! Su questo tema il discorso di Benedetto XVI ha fatto dunque chiarezza. È un contributo che bisognerà sviluppare nei suoi fondamenti e nelle sue conseguenze. Riconfermate le linee del ConcilioMa a rallegrarci per l’evento appena celebrato c’è un altro motivo: l’ascendenza conciliare dell’evento del 1986 ha trovato una riconferma importante. Nelle polemiche che ancora turbano l’orizzonte ecclesiale tra cattolici tradizionalisti e cattolici “conciliari” spesso affiora l’opinione che l’attuale Pontefice non abbia per il Concilio lo stesso atteggiamento di stima che fu del beato Giovanni Paolo II. Nulla di più falso. Il Papa ha tante volte espresso la sua accoglienza del Vaticano II, solo preoccupandosi di sottolineare che il Concilio non è un “inizio”, ma un momento di progresso nel solco della ininterrotta tradizione. Nell’applicazione di questa “ermeneutica della continuità” lo si aspettava forse proprio al varco di questo venticinquesimo che, per la posta in gioco, poteva essere una cartina al tornasole. Ebbene, siamo stati accontentati: anche per Benedetto XVI quanto il Concilio ha detto a proposito del rapporto tra cristianesimo e religioni non cristiane è ormai patrimonio consolidato della Chiesa. Lo “spirito di Assisi” non può essere dunque “demonizzato”. Va solo ben compreso e ben applicato, sottraendolo a versioni improprie a danno della fede cristiana in Gesù unico Salvatore del mondo. Un ultimo motivo di gioia è il fatto che, ancora una volta, la causa della pace sia stata fatta oggetto di una iniziativa importante, altamente simbolica, fatta a misura per disinnescare le tendenze fondamentaliste e promuovere una vera sinergia delle religioni nell’impegno di promozione della pace. I simboli hanno parlato chiaramente. La partecipazione di tante delegazioni di confessioni cristiane e di religioni diverse non ha riprodotto solo la “scenografia” del 1986, ma il clima di un impegno morale di pace a cui tutti gli uomini veramente religiosi, insieme con tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati. Anche senza dirlo si è respirata aria francescanaBilancio nettamente positivo, dunque. Una prospettiva che è consegnata ora all’impegno ulteriore. Cosa che interessa in particolare la Chiesa di Assisi e tutte le diocesi dell’Umbria. Non v’è dubbio, infatti, che il motivo della scelta della città serafica, ancora una volta, non sia stato casuale. Per quanto questo aspetto nel discorso del Santo Padre non sia stato espressamente menzionato, tutta la celebrazione ha “respirato”, per così dire, l’aria francescana. Il Poverello continua ad esercitare il suo fascino, soprattutto quando si affronta il tema della pace. Egli mostra come la pace si possa costruire proprio sulla base di una vita improntata al Vangelo, dunque sulla base della verità cristiana, accolta e testimoniata con la mitezza insegnata da Gesù. Abbiamo dunque una “consegna”. Dobbiamo lasciar fruttificare questa “eredità”. La presenza dei giovani delle chiese umbreIn verità, la presenza delle Chiese umbre, e della stessa Chiesa assisana, nella celebrazione dell’evento, è stata consentita dalla Santa Sede solo in termini molto discreti. I Vescovi umbri c’erano tutti. Hanno fatto tanto anche i giovani umbri. Ma, a livello ufficiale, siamo stati richiesti di grande sobrietà e io stesso ho potuto dare un benvenuto solo per iscritto. Il perché va colto alla luce di una sensibilità di rispetto che ha suggerito di non accentuare gli interventi di parte cattolica, in un evento tutto centrato sul dialogo tra le confessioni cristiane e le varie religioni del mondo. Occorre tuttavia ricordare che, nella preparazione dell’evento, fin dalla sua fase ideativa, il sottoscritto è stato ampiamente coinvolto. L’impegno della Chiesa assisana, in operosa sinergia tra diocesi e Francescani delle due basiliche papali, e d’intesa con gli organismi romani preposti, non è stato marginale. L’importanza della causa poteva richiedere, in fase celebrativa, un certo sacrificio di “visibilità”, che abbiamo fatto volentieri, in spirito francescano, nel desiderio di dare il nostro contributo al futuro di pace al quale tutti aneliamo.

AUTORE: Domenico Sorrentino