Antonio Campanile, classe 1945, è un imprenditore di che ha già gestito con successo il passaggio generazionale con l’inserimento in azienda dei figli Alessandro, Filippo e Lorenzo. Il nonno omonimo, napoletano, ha fondato l’azienda “Antonio Campanile & Fratello” a Ponte San Giovanni nel 1925; il padre Salvatore ha costituito la Saci sas nel 1974, ora Saci spa, di cui Antonio Campanile è il presidente. Un’azienda che dà lavoro a oltre 130 addetti ed esporta circa la metà della produzione. La Saci è una media azienda che ha sempre investito molto nell’innovazione di processo, con una grande attenzione alla qualità dei prodotti e dell’ambiente e alla sicurezza degli addetti, con le certificazioni Iso 9001/2000, Iso 14001/2004 e Bs Oshas 18001 ed il marchio di qualità Ecolabel, avendo come clienti importanti multinazionali. Campanile, lei è stato dal 2007 al 2011 presidente dell’Associazione industriali della provincia di Perugia, di cui suo nonno Antonio fu socio fondatore nel 1944. Ci vuole fare un bilancio di questi 4 anni di attività?“Innanzitutto debbo dire che è stata per me una grande gratificazione il fatto che i miei colleghi abbiano voluto affidarmi l’Associazione per due mandati, termine massimo consentito dallo statuto di Confindustria. Se penso a tutti gli illustri colleghi che mi hanno preceduto in questo incarico, mi sento molto onorato. Anche perché l’azienda che rappresento solo nell’ultimo decennio ha raggiunto una dimensione ragguardevole e in un settore, quello della chimica, che non è così diffuso nella provincia di Perugia. Un bilancio? A livello personale è stato un arricchimento continuo e mi ha consentito di completare adeguatamente la mia preparazione professionale. Ho quindi ricevuto molto. Quanto ho dato, non sta a me dirlo. In termini di impegno del mio tempo e delle mie capacità, ritengo abbastanza. Se proprio devo enunciare qualche risultato: sul fronte interno sono riuscito, pur nelle difficoltà, a tenere unita la nostra associazione, a mantenere la sua consistenza in termini di associati e di struttura. Sul fronte esterno, a mantenere l’autorevolezza e la considerazione di cui essa negli anni ha goduto. In una situazione di generale declino, il solo ‘mantenere’ mi sembra un buon risultato”. Il suo mandato si è svolto durante le due crisi, quella di fine 2008 e quella del 2011, che hanno coinvolto l’economia globale, ma hanno avuto ripercussioni pesanti anche nella nostra regione. Come vede il futuro dell’Umbria e quali strumenti possono essere messi in campo per lo sviluppo del nostro territorio?“In effetti solo per dodici mesi della mia presidenza ho navigato in acque tranquille, poi sono arrivati i problemi, quelli gravi: crolli di fatturato, insolvenze a catena, crisi occupazionali, e il credit crunch. Sono purtroppo tra quelli che ritengono probabile il cosiddetto double dip, cioè il ripetersi di una situazione di recessione. Siamo usciti dalla precedente fase di recessione e rimasti, purtroppo, in una condizione di crisi. Il nuovo scenario globale, quello europeo e soprattutto quello nazionale, politico ed economico, non mi ispira nessuna fiducia. L’Umbria, nel contesto generale, mi appare ancor più debole! Non so se gli enti e le istituzioni possano veramente mettere in campo strumenti per ribaltare la situazione. Possono aiutare, innanzitutto de-burocratizzando, poi mettere a disposizione quel poco che resta dei loro bilanci, e dovranno farlo. Ma ogni imprenditore dovrà raccogliere le proprie forze, credere nel proprio lavoro e nelle proprie capacità: innanzitutto investire, autofinanziarsi, visto che di credito ce ne sarà poco ed a caro prezzo. Inoltre migliorarsi culturalmente, crescere nelle strategie, nel marketing. Dovranno prima vendere e poi produrre”. Fare impresa oggi, soprattutto nel manifatturiero, è sempre più difficile e rischioso, ma gli economisti concordano che per l’Italia, e quindi anche per l’Umbria, lo sviluppo dell’economia passa necessariamente per il rilancio del manifatturiero. Quale è la sua opinione? “Come posso non concordare con loro! Primo perché la mia azienda è pura manifattura, poi perché l’Italia tutta, povera di materie prime, di risorse energetiche, è una ‘azienda’ di trasformazione, quindi manifatturiera per necessità oltre che per vocazione. Credo, ad esempio, che le nostre eccellenze umbre, pur numerose nel settore agroalimentare, debbano fare i conti con un territorio ed un Paese che in agricoltura non può esprimere tutta la forza che esprimono altri Paesi europei come la Francia. La nostra vera ricchezza sta quindi nel saper fare, nel saper trasformare, nel saper aggiungere valore, come abbiamo fatto nei decenni passati. Ora però abbiamo bisogno di una o due marce in più. Anche gli altri camminano, anzi… corrono. Solo così si potrà avere un effetto di traino sul settore dei servizi, anche quelli meno avanzati di cui abbonda anche la nostra provincia”. Il suo successore alla guida di Confindustria Perugia, Ernesto Cesaretti, per la prima volta, se non sbaglio, è un imprenditore che non proviene dal settore manifatturiero. Una coincidenza, o un’indicazione su come sia cambiata la composizione delle aziende iscritte alla massima associazione di categoria italiana?“Ernesto Cesaretti non rappresenta una azienda manifatturiera in senso stretto, tuttavia la Scai è una grande realtà con filiali in tutto il Paese e bacino d’utenza nel Mediterraneo. La rete di assistenza post vendita, le officine di manutenzione, fanno sì che essa abbia un approccio al mercato non molto diverso dalle imprese propriamente industriali. Ma ciò che conta è l’imprenditore. Sempre più Confindustria vuol essere la ‘casa’ di tutte le imprese, e non è un caso che una parte consistente e molto rappresentativa degli iscritti a Confindustria Perugia sia quella dei Servizi innovativi alle imprese”. Qual è la formula di successo da attuare per le medie aziende umbre che vogliono perseguire progetti di sviluppo? “Non credo vi sia una particolare formula di successo. Oltre alle considerazioni e le raccomandazioni cui prima accennavo, credo sia necessario confrontare la propria azienda con i concorrenti più virtuosi, quello che viene chiamato con termine inglese benchmarking: imitarli, anzi emularli. Ci sono anche aziende innovative con idee originali: quelle in teoria non ne avrebbero bisogno. Tuttavia uno sguardo fuori di casa è sempre indispensabile! C’è sempre qualcuno che certe cose le ha fatte già e meglio di noi. Se devo andare in America, compro il biglietto… non affitto le caravelle!”. Nei convegni e nei media si parla spesso di quarto capitalismo e si discute sul dualismo tra imprese familiari ed imprese manageriali. La Saci è un’impresa familiare, con i suoi figli che ricoprono ruoli di responsabilità, che però ha saputo aprirsi anche alla cultura manageriale, visto che il suo più vicino collaboratore è un manager come Sebastiano Miccolis, in azienda da 30 anni. È una formula riproducibile anche in altre piccole e medie aziende umbre? “Mi ritengo fortunato, nella mia azienda questo dualismo non c’è: manager e membri della famiglia sono in simbiosi. Come prima lei affermava, il passaggio alla quarta generazione è avvenuto senza traumi, in modo del tutto naturale. Anche qui non so dare ricette. Posso solo descrivere le condizioni che ne sono state alla base e sono molte, e ritengo siano facilmente replicabili: la distinzione netta tra le ‘tasche’ della famiglia e quelle dell’azienda. La chiarezza dei ruoli tra famiglia, proprietà e management”. Molto spesso, anche in aziende importanti, bravi manager non sono messi nelle condizioni di far fruttificare le proprie capacità…“Vorrei ancora una volta sottolineare l’importanza della preparazione. Nella Saci, pur non essendo una azienda high tech, sono presenti laureati per circa il dieci per cento dei dipendenti totali. Anche se la società non ha mai instaurato veri rapporti di stretta collaborazione con l’Università, sono profondamente grato al nostro ateneo, dal quale provengono, per aver preparato questi nostri collaboratori e per la proficua ricaduta che esso genera sul territorio… Un’ultima cosa che non mi ha chiesto, ma ci tengo a dirlo: qual sia una delle mie più grandi soddisfazioni come imprenditore. È quella di sentire dalla viva voce dei visitatori della nostra azienda non tanto le congratulazioni per l’organizzazione, le dimensioni, la produttività, la qualità, ma la constatazione dell’armonia tra le persone che si percepisce girando per i vari reparti. Ritornando alla mia presidenza di Confindustria Perugia, credo che un’atmosfera molto simile si percepisca in quel palazzo – e certo non solo per mio merito – e sono sicuro che continuerà anche sotto la presidenza di Ernesto Cesaretti”.
Una o due marce in più per salvare l’economia
Intervista ad Antonio Campanile, fino a poco tempo fa presidente dell’Associazione industriali della provincia di Perugia
AUTORE:
Alberto Mossone