L’ospite inatteso, l’ospite giusto

abatjour

Dunque, per celebrare i 40 anni de “La Buona Novella”, comunità di accoglienza per disabili alla quale, in condivisione con un gruppo di loro, detti vita nel 1971, a Fabriano, mi hanno piazzato sul palco di un bel teatro più che provinciale e mi hanno messo in mano un microfono, per parlare di don Milani; poi si sono rammaricati di avermi riservato troppo poco tempo. Effettivamente, parlando di don Milani, il tempo è sempre troppo poco. Nei miei primi anni di insegnamento di italiano e latino al liceo classico, il primo mese lo dedicavo interamente alla lettura e al commento della Lettera a una professoressa; niente consecutio temporum, niente “sao ko kelle terre”: i libri nuovi acquistati dai ragazzi appena approdati al liceo, per quanto riguardava le mie due materie, rimanevano intonsi per un mese. Poi però non li avrebbero usati come cantilene da ripetere stancamente allo stanco docente durante una stancante interrogazione. Approfondire Lettera a una professoressa era il modo migliore per motivarli a prendere sul serio lo studio, che al liceo verteva interamente sui contenuti della civiltà greco-ebraico-cristiana, almeno nelle mie due materie: i ragazzi venivano dagli studi formali che caratterizzavano i due anni di ginnasio, e non ne potevano più: erano pochissimi quelli che, studiando le due lingue, avevano preso coscienza dell’intima bellezza dei ritmi grammaticali e sintattici che le caratterizzano. Lettera a una professoressa li arroventava. Alla fine del mese mi pareva di vederli come levrieri sulla linea di partenza, la bava alla bocca, trattenuti a stento dal lanciarsi nella corsa prima del via. Quello che suscitava il loro entusiasmo, e la voglia di capire il mondo, era il discorso di Don Lorenzo sui poveri. I poveri di ieri e di sempre, i poveri di oggi: gli emarginati, coloro che la società dei consumi spinge ai margini, e la globalizzazione li fa fratelli silenziosi di altri miliardi di emarginati silenziosi come e peggio di loroQuello che aveva convinto anche me ad entrare nella Comunità di Capodarco era stato proprio il posto che davano al tema dell’emarginazione quei cento invalidi che incontrai, tutti insieme, nella prima loro assemblea alla quale partecipai: erano handicappati, ma parlavano di emarginazione. Don Milani iniziò il suo ministero come vice parroco a Calenzano. Il fatto che chi frequentava la chiesa fossero sempre e solo borghesi, e che la frequenza fosse stancamente intesa da loro come acritico adempimento rituale, e che gli operai fossero emarginati dalla fruizione di quel sommo bene che è il Vangelo di Gesù, lo convinse che il primissimo bisogno dell’evangelizzazione è la… pre-evangelizzazione. E nella pre-evangelizzazione il tema cruciale era proprio quello degli emarginati: Perché? Già, perché.

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci