Più disoccupati, più cassintegrati, ed i fortunati che trovano un’occupazione in genere devono accontentarsi di lavori precari, stagionali, part-time o contratti a tempo determinato. Gli imprenditori, almeno per i prossimi mesi, non sono molto ottimisti su un ritorno a ritmi normali dell’attività nelle loro imprese. Così si presenta la crisi economica in Umbria a metà estate. Nel primo semestre la cassa integrazione è cresciuta del 9,33 per cento, mentre in Italia nello stesso periodo è diminuita di quasi il 20 per cento. L’ Umbria, con 23.400 cassintegrati, secondo i dati Cgil, è quindi una delle sei regioni italiane dove il ricorso alla cassa integrazione continua ad aumentare mentre in Italia è in diminuzione. In giugno però la direzione regionale dell’Inps ha registrato una significativa battuta d’arresto della richiesta di cassa integrazione in tutti i settori. L’Inps segnala contemporaneamente un significativo aumento delle domande di disoccupazione. Disoccupazione che in Umbria è ancora in crescita (7 per cento; era il 6,64 nel 2010) anche se resta in percentuale più bassa della media nazionale (8,6). Nel primo trimestre di quest’anno i disoccupati in Umbria erano 27 mila, in maggioranza donne. Numero che purtroppo potrebbe crescere se non si troverà una soluzione per le tante crisi aziendali aperte. In provincia di Perugia la Merloni è ancora alla ricerca di un acquirente, con 2.350 lavoratori in cassa integrazione negli stabilimenti di Umbria e Marche; la Trafomec di Tavernelle avvia un centinaio di licenziamenti e la Sirap Gema di Corciano ha annunciato la chiusura e la mobilità per i 60 lavoratori. Ancora più grave la situazione in provincia di Terni dove sono aperte le vertenze occupazionali per la Basell (97 lavoratori in cassa integrazione), Meraklon (150) mentre c’è grande preoccupazione tra i 3 mila occupati della Ast-Tk per l’annunciata ristrutturazione aziendale. Da uno studio dell’Istat emerge che pure in questa situazione difficile il fenomeno della povertà in Umbria è in diminuzione. Mentre a livello nazionale dal 2009 al 2010 l’incidenza di povertà relativa è passata dal 10,8 all’11%, nella nostra regione nello stesso periodo si è registrata una riduzione dal 5,3 al 4,9%. Questo dato, secondo la Cgil, è dovuto al fatto che “grazie alle politiche di welfare concordate anche con le istituzioni” l’Umbria “è riuscita a mantenere un alto livello di coesione sociale”, messo però a rischio – secondo il sindacato – dalle ultime misure della manovra di risanamento del bilancio dello Stato. Guardando all’immediato futuro, l’indagine Excelsior delle Camere di commercio sulla previsione di assunzioni da parte delle imprese per il terzo trimestre luglio-settembre indica che in provincia di Perugia sono disponibili 1.750 posti (in gran parte, l’88 per cento, nei servizi) ma solo l’11 per cento a tempo indeterminato. Anche il rapporto sul mercato del lavoro 2010 redatto dall’Ufficio studi della Provincia di Terni conferma che cresce il ricorso alle forme contrattuali più flessibili, quali contratti a tempo determinato e di lavoro intermittente. Lavori precari, insomma, con tutti i problemi che comportano per i giovani, che senza un posto fisso e sicuro hanno difficoltà ad avere una casa e crearsi una famiglia. A questo proposito però fa anche riflettere un dato della citata indagine Excelsior dalla quale risulta che tra i 1.750 posti disponibili in provincia di Perugia il 23 per cento “sono considerati di difficile reperimento”: sarà per formazione professionale inadeguata, retribuzioni insufficienti o scarsa propensione alla fatica aspettando un’occasione migliore? La “ripresina” si è già fermata, ma qualche chance c’èChe cosa può fare l’Umbriaper rendere più roseo il futuroGodiamoci l’estate, e speriamo in un autunno meteorologicamente gradevole, perché per l’economia, con le tempeste che si addensano nel mondo ed il quadro politico in Italia, per l’immediato non resta che mettersi nelle mani della Provvidenza. Sì, perché dopo la “ripresina” dei primi mesi dell’anno, la crisi non è finita. Lo certificano i numeri delle varie indagini. Per la gente comune i numeri contano poco, la crisi diventa tangibile in altro modo: sono i soldi che entrano in meno rispetto al passato o che non entrano affatto per pagare il mutuo, l’affitto, le bollette o la scuola dei figli. I numeri dicono che in Umbria le cose vanno un po’ meglio di certe regioni del Sud, ma ci sono 27 mila disoccupati e 23 mila cassintegrati per i quali non ci sono prospettive immediate di un lavoro stabile. Che dire poi dei giovani per i quali il posto fisso è un miraggio ed anche un lavoretto qualsiasi spesso è solo un bel sogno? Ci sono 21 mila umbri, tra i 15 ed i 29 anni, che uno studio del ministero del Lavoro cataloga come Neet (Not in education, employment or training). Cioè giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione professionale. Insomma, che hanno rinunciato a costruire il loro futuro. Sono dati del 2009: il numero probabilmente è cresciuto ancora. Il quadro nell’insieme in questo luglio non è dunque confortante, ed anche secondo la Confindustria la struttura economica dell’Umbria “è in notevole affanno”. La crisi ha però dimensioni e meccanismi globali che perfino le grandi potenze (vedi gli Stati Uniti) hanno difficoltà a gestire. Occorre quindi un governo sovranazionale e globale dei meccanismi economici e finanziari, con strumenti ed organismi in parte esistenti ed in parte da inventare. Ma occorre anche che noi cittadini fortunati di un Occidente ricco, che ha vissuto per decenni al di sopra dei propri mezzi, maturiamo la convinzione sulla necessità di rinunciare a qualcosa in termini di consumi talvolta superflui per un maggiore equilibrio globale delle ricchezze economiche, energetiche ed ambientali. Una scelta obbligata, ed in fondo “semplicemente egoistica”, se vogliamo scongiurare problemi ancora più gravi e forse guerre. Ma che cosa può fare la piccola Umbria, questo puntino geografico del globo, per resistere in questo mare in tempesta? Poco, nell’immediato (ecco perché non resta che sperare nella Provvidenza), ma tanto per il futuro. A cominciare dai giovani, investendo nella loro cultura e formazione per renderli competitivi a livello internazionale. In Umbria ci sono Università di grandi tradizioni, ed università vuol dire ricerca ed innovazione. Entrambe sono fondamentali per rendere competitive le nostre piccole imprese a livello globale, come già avviene per alcuni imprenditori locali di talento. Solo per fare qualche esempio: Cucinelli per la moda, Angelantoni per le energie alternative e Caprai per il sagrantino. L’Umbria però – La Voce lo ha scritto tante volte – è soprattutto arte, cultura ed ambiente. Beni da difendere, salvaguardare e valorizzare turisticamente. Con più fatti (piani regolatori con meno cemento e meno varianti, iniziative promozionali che non siano solo gite turistiche di amministratori e portaborse) e meno burocrazia. Perché da questa crisi può uscire anche una Umbria migliore, con amministratori, cittadini ed imprenditori più responsabili e coscienti della necessità di mettere sempre al primo posto il bene comune nell’interesse di ognuno. Va bene infatti sperare nella Provvidenza, ma intanto rimbocchiamoci le maniche.
Umbri meno poveri ma con tanti problemi
La situazione del lavoro in Umbria: i dati forniti da sindacati, Istat e Camere di commercio
AUTORE:
Enzo Ferrini