Il brano evangelico di questa domenica inizia dando per conosciuta la notizia dell’assassinio di Giovanni Battista, in carcere. L’evangelista aveva narrato il fatto nei versetti immediatamente precedenti (Mt 14,6-11). Giovanni Battista era parente stretto di Gesù, secondo la parentela terrena, e suo precursore nell’annuncio del regno di Dio. Gesù inoltre era stato da poco rifiutato dai suoi paesani di Nazareth, scandalizzati dal fatto che un povero laico come lui si permettesse di parlare così (Mt 13,53-58). Insomma era un momento amaro per lui: la notizia del lutto familiare, il rifiuto dei suoi, la crudeltà della classe dirigente, il pensiero che anche la sua vita stava prendendo la stessa piega di quella del cugino. Per questo cercò un luogo solitario, attraversando il lago in barca; là sperava di raccogliersi lontano dal rumore delle folle e in intimità con il Padre.
Questo è il contesto in cui si svolge la vicenda narrata oggi. Le cose però andarono in un altro modo. La gente scoprì dove si andava a nascondere e lo precedette a piedi. Quando Gesù sbarcò, vide la folla, si impietosì di loro e guarì i loro malati, dimenticando se stesso e il cruccio che si portava dentro. Marco precisa che le folle erano sbandate, come “pecore senza pastore” (Mc 6,34). Luca aggiunge anche che Gesù le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio (Lc 9,11). Gesù, del resto, sa bene che è venuto nel mondo non per se stesso, ma per gli altri, per tutti i sofferenti, gli sbandati, per chi cerca un senso alla vita. Intanto si andava facendo sera.
In Palestina il buio arriva rapidamente. Gli accorti discepoli lo consigliano di licenziare la gente, perché vada a cercarsi da mangiare per i villaggi dintorno. La cena era il pasto principale della giornata. Gesù ribatte: “Dategli voi da mangiare”. Tante volte ho cercato di immaginare come devono aver preso, lì per lì, quella sortita del Maestro. Come una battuta? Come l’invito ad andare a fare un’improbabile spesa per tutti? Marco effettivamente riporta l’intervento realistico di uno di loro, il quale osservò che 200 denari di pane sarebbe stato appena sufficiente (Mc 9,37). Loro hanno in tutto cinque pagnottelle e un paio di pesci. Che volete che sia? Non basterebbero a nessuno. Di lì a poco scopriranno che in realtà quel comando era stato una vera provocazione alla loro poca fede. Non era la prima volta, e non sarà l’ultima, che Gesù rivela così la scarsità della loro fede.
Tutte le volte che un evento va fuori degli schemi previsti, si pensa: non è possibile! Eppure avrebbero dovuto ricordare quello che era accaduto ai loro Padri nel deserto: Dio li nutrì di manna, cibo sconosciuto perfino ai padri dei loro padri; o il profeta Eliseo, che aveva sfamato miracolosamente una moltitudine. Ma la loro memoria era corta, come del resto la nostra. Quante cose insolite, straordinarie, inaspettate abbiamo visto accadere, riconoscendole perfino come opera di Dio! Eppure al momento della difficoltà stentiamo a ricordarcene. Il racconto termina dicendo che tutti “mangiarono e furono saziati”. La precisazione della sazietà non significa solo che ne ebbero abbastanza, ma che quel pane saziava veramente.
La prima lettura, del profeta Isaia, era già entrata in argomento: l’esperienza dice che si può mangiare senza riuscire a saziarsi. “Perché spendete denaro… per ciò che non sazia?” (Is 55,1) Anche sul piano nutrizionale esistono cibi che paiono saziare, poi in realtà non danno niente. Ma questo è vero soprattutto su un piano più profondo. La mente, l’anima di ognuno di noi ha bisogno di essere nutrita, per vivere. La parola, i rapporti, l’amicizia… talvolta saziano, altre volte no. Dipende. Il saggio sa distinguere il cibo che sazia, da quello che sembra saziare, ma che in realtà intossica. Il credente è un saggio: non sciupa le proprie energie alla ricerca di sensazioni forti, ma che dietro di sé lasciano il vuoto; egli sa dov’è il cibo che sazia per la vita eterna.
I quattro evangelisti raccontano più volte di questi pasti improvvisati, miracolosi, con cui il Signore Gesù entrava in rapporto con gli uomini. Essi non lo fanno per mostrare quanto Gesù fosse capace di stupire, ma perché quei racconti rimandavano la memoria della comunità cristiana al cuore dell’opera di Gesù. Non è certamente a caso che le parole con cui introducono il miracolo sono incredibilmente vicine a quelle con cui si racconta l’istituzione dell’eucaristia, nell’Ultima Cena: “prese i pani…alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani, li diede ai discepoli…” (14,19). I primi cristiani, al pari di noi, ascoltavano le stesse parole nelle loro celebrazioni comunitarie. Nelle varie moltiplicazioni di pani, narrate dagli evangelisti, vedevano rispecchiate le proprie celebrazioni; e vi riconoscevano la presenza di Gesù.