Un viaggio tra le croci dell’Armenia

Un gruppo di perugini visita il Paese asiatico, che ha un antico legame con il capoluogo umbro

L’Armenia – o meglio, quel che resta della Grande Armenia dei secoli passati – ha ottenuto autonomia e libertà di governo, riconosciuta dall’Onu e da altri Stati, nel settembre 1991. Uno Stato “giovane” quindi, anche se dalle più remote età preistoriche è stata un crocevia obbligato per tutti tra Europa ed Asia, come indica la ancora esistente ed identificabile “Via della seta”, percorsa anche dal nostro fra’ Giovanni da Pian del Carpine nel suo viaggio alla corte del Gran Kan dei Tartari. Questa regione fu la prima a dichiararsi cristiana, già nel 301, con il re Tiridate III e il monaco-vescovo Gregorio l’Illuminatore. Ed anzi i khachkar, e cioè le croci di pietra scolpita e quasi cesellata, sono diventati l’emblema insieme religioso e civile del popolo e della nazione armena; se ne trovano ancora in gran quantità, nonostante le distruzioni sistematiche sia delle croci che delle tipiche chiese cruciformi in pietra e dei tanti monasteri, avvenute sotto i diversi domini politici (persiani, islamici, comunisti). È una fedeltà pagata sempre a caro prezzo, sino al tragico Genocidio armeno, che ha visto il massacro indiscriminato degli intellettuali e del popolo negli anni della Prima guerra mondiale (1916-17), con lo sterminio di tre quarti della popolazione (oltre un milione e mezzo di persone), mentre i Giovani turchi erano al potere. S’ebbe allora un grido di raccapriccio da parte di alcune nazioni europee (Russia, Francia, Gran Bretagna), che in una dichiarazione collettiva del maggio 1915 parlarono di “crimine contro l’umanità e la civiltà ”, come documenta anche la recente ricerca di Marco Impagliazzo, Una finestra sul massacro. Documenti inediti sulla strage degli armeni, Guerini 2000. Fu quello il mets yerern, il “grande male” del popolo armeno, una sorta di tragico prologo della Shoah, lo sterminio nazista di milioni di ebrei e altri indesiderati. E con commozione profonda si fa visita ad Erevan al Mausoleo del genocidio, come a Gerusalemme al Yad Vashem. Questo fitto reticolo di storia, insieme religioso e civile, si ripercorre nella visita a queste terre e a questo popolo ora libero, che ha nelle sue tradizioni il segno di tanta sofferenza e di tanta dignità: un popolo giovane, desideroso di sapere e di vivere, aiutato dalla solidarietà di tanti armeni sparsi in tutto il mondo, che amano appassionatamente la madre patria finalmente libera, e non dimenticano. C’è ricchezza di storia e di umanità, ma anche bellezza di paesaggi, sempre presenti nei canti. Come non menzionare il monte biblico dell’Ararat, ed altri paesaggi carichi di verde e di nevi, con i ponticelli sui corsi d’acqua a segnare l’antica Via della seta? Si tratta di un Paese che alterna la monumentalità dell’ambiente cittadino a Yerevan, la capitale, con palazzoni costruiti dai russi, alla modestia dei suoi villaggi; un Paese che fa del buon pane con metodi antichi e singolari, attaccando pasta lievitata alle pareti d’un orcio surriscaldato, e fa del buon vino anche in altura con essenze profumate; un Paese che desidera conoscere e d’essere conosciuto. Non sarebbe male che anche le autorità civili, oltre a sostenere politicamente la giovane democrazia armena e a riconoscere lo sterminio perpetrato in passato, promuovessero incontri con visite più o meno ufficiali, scambio di aiuti, iniziative culturali e ricreative. L’incontro tra persone è sempre un segno di amicizia e di incoraggiamento, e come tale è stata anche la recente visita d’una comitiva di perugini (guidata da mons. Chiaretti ndr). Perugia in particolar modo dovrebbe curare queste relazioni, per antica presenza di armeni in città con il monastero e la chiesa di San Matteo degli Armeni, di rilevante interesse storico; su questa presenza sono stati fatti anche mostre e convegni di studio, l’ultimo dei quali il 24 ottobre 1998. In questo contesto è molto ricordata in Armenia la visita che Papa Giovanni Paolo II, ospite del Catholikos, fece nel 2001 per celebrare i 1.700 anni della conversione al cristianesimo, come è anche ricordato il suo dono d’un ospedale nel villaggio di Ashotsk, denominato “Redemptoris Mater”, dopo il terribile terremoto del dicembre 1988.

AUTORE: † Giuseppe Chiaretti