Troppi detenuti e pochi agenti di custodia nelle carceri dell’Umbria. È anche conseguenza della crisi economica, che ha comportato un aumento del malessere sociale e delle situazioni di emarginazione e tagli ai bilanci per ridurre la spesa pubblica. Accade così che in celle che possono ospitare al massimo 1.586 reclusi (la cosiddetta “capienza tollerabile”, che è già superiore ai posti disponibili) ne sono stipati 1.715. Gli agenti di polizia penitenziaria nei quattro istituti di pena umbri (Perugia, Terni, Spoleto ed Orvieto) sono invece 785, mentre l’organico ne prevede 1.060. Le conseguenze sono evidenti: turni di lavoro massacranti con straordinari malpagati per gli agenti, e detenuti costretti a stare in celle sovraffollate 18 ore al giorno perché, anche per motivi di sicurezza, le attività sociali e per la cosiddetta rieducazione sono ridotte al minimo. Ed allora crescono le tensioni ed i disagi tra gli stessi detenuti e nei loro rapporti con gli agenti di custodia.
Nell’ultimo anno nelle carceri umbre ci sono stati 246 atti di autolesionismo, 20 tentativi di suicidio e 155 scioperi della fame. L’ultimo è lo sciopero dei giorni scorsi di 51 detenute della sezione femminile del carcere perugino di Capanne nell’ambito della campagna promossa dai Radicali per una nuova amnistia. Situazioni di disagio e tensioni che – come detto – si riflettono anche nella convivenza tra i reclusi (ci sono stati 175 ferimenti in liti e risse) e nei loro rapporti con gli agenti di custodia. Sono state infatti 16 le aggressioni subite dagli appartenenti alla polizia penitenziaria. Numeri eloquenti, che ben illustrano la difficile situazione all’interno delle carceri umbre, forniti lunedì scorso dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Ilse Rusteni, in occasione della celebrazione del 194° anniversario della fondazione del Corpo di polizia penitenziaria. Problematiche – ha detto il provveditore – analoghe a quelle nazionali e cioè il sovraffollamento e la carenza di personale”. Una situazione di disagio che era stata denunciata recentemente anche dai parlamentari Rita Bernardini (radicali), Marina Sereni (Pd) e Walter Verini (Pd) dopo una visita nel carcere di Capanne.
A Capanne lavorano solo 39 detenuti (11 donne e 28 uomini) sugli oltre 500: “Un dato grave – secondo la deputata radicale – che non dipende però dall’amministrazione del carcere bensì dal Ministero. Tolte quindi le quattro ore d’aria e le due di socialità, la maggior parte dei detenuti passa 18 ore al giorno in cella. Come può essere rieducativo un carcere in queste condizioni?”. Tuttavia l’amministrazione, nella ristrettezza dei mezzi a disposizione, sta compiendo tutti gli sforzi possibili in fatto di rieducazione. Nella sezione maschile del carcere di Capanne sono attivi due corsi di scuola elementare frequentati da 12 detenuti ed uno di scuola media alle cui lezioni partecipano altre 11 persone. Tra i corsi professionali svolti a Terni quello dedicato alla realizzazione di mosaici impegna 11 detenuti. Sono 16 invece gli aspiranti pizzaioli ad Orvieto (a sette di loro è stato riconosciuto l’attestato di qualifica), mentre sono una trentina le detenute che a Capanne si dedicano a corsi di informatica utilizzando i dieci computer donati dalla Fondazione Italia-Usa. Iniziative importanti, ma che coinvolgono una percentuale limitatissima dei 1.715 detenuti (1.635 uomini ed 80 donne, queste ultime con nove bambini in cella).
Oltre agli agenti di custodia mancano infatti anche psicologi, educatori, medici. La situazione potrebbe diventare ancora più difficile con l’apertura nei prossimi mesi di nuovi padiglioni a Terni e Spoleto e l’arrivo di altri 300 detenuti. In tempi di crisi, con tanta disoccupazione e con i problemi economici delle famiglie, qualcuno potrebbe pensare che in fondo quello delle carceri non è uno dei problemi prioritari. Cose che non ci riguardano, basta girarsi per non vedere. Anche senza appellarsi ai valori cristiani una società civile, democratica, solidale non può consentire che vengano calpestati i diritti dei cittadini, anche quelli finiti in carcere e magari ingiustamente. In fondo è come quando in un condominio non si vuole vedere la crepa pericolosa sul muro dell’appartamento del vicino di casa, pensando che non ci riguardi: se non si interviene, c’è invece il rischio che crolli l’intero edificio.