Noi, pietre vive della Chiesa

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini V Domenica di Pasqua - anno A

Le tre letture della V domenica di Pasqua toccano l’essenziale della vita della Chiesa; in un impressionante “crescendo”, ci accompagnano dai quotidiani problemi organizzativi della comunità dei primi giorni fino alle dimore celesti, dove abiteremo con Cristo presso il Padre. La narrazione degli Atti degli apostoli riferisce del primo incidente sorto nella comunità per ragioni logistiche. Può suonare strano che si siano innescati conflitti in quella Chiesa degli inizi, dove immaginiamo scorrere tutto in un clima idilliaco.

Bisogna tenere presente la realtà storica. La prima comunità di discepoli si componeva di giudei di lingua aramaica – la lingua parlata anche da Gesù – di origine palestinese e di giudei di lingua greca, considerati in qualche modo “forestieri”. I due gruppi, che pur avevano aderito sinceramente alla fede in Gesù risorto, faticheranno a lungo prima di trovare una mentalità condivisa. Per cominciare si scontrarono intorno a un piccolo/grande problema: sembra che nella distribuzione degli aiuti quotidiani le vedove del gruppo palestinese fossero privilegiate rispetto a quelle di lingua greca, che si sentivano trascurate. Furono presentate agli apostoli le giuste rimostranze.

La comunità non lasciò imputridire il conflitto, ma discusse “democraticamente” e inventò una soluzione: agli apostoli sarebbe rimasto il compito della predicazione e della preghiera; mentre sette uomini di buona reputazione, scelti dall’assemblea, avrebbero presieduto al servizio delle “mense”(At 6,4). Nacque così un primo nucleo di sette diaconi. Come stupirsi se anche oggi nelle nostre comunità nascono dissensi? Potessimo anche noi appianarli con lo stesso Spirito di saggezza! Con la seconda lettura il tono sale decisamente, facendo un salto nella dimensione della fede. La Chiesa, scrive san Pietro nella sua Prima lettera, non è, per prima cosa, un’organizzazione caritativa, ma è piuttosto “un edificio spirituale”, al cui fondamento c’è Cristo, e di cui ogni discepolo è una “pietra viva”.

Della pietra angolare, Gesù, si dice che è viva, che è stata rifiutata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio (1 Pt 2,4); e più avanti si dice anche che essa è diventata “sasso di inciampo” per quelli che non credono e non obbediscono alla Parola. Dei cristiani si dice che anche loro sono pietre vive, chiamati a costruire un edificio spirituale; essi sono “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo chiamato dalle tenebre alla luce, perché proclamino le opere mirabili di Dio” (1 Pt 2,7). È bellissimo questo intreccio fra Gesù Cristo e i cristiani. Ciò che conta è il rapporto che gli uomini hanno con la Pietra angolare: per quelli che non credono e non obbediscono alla Parola, quella Pietra è un inciampo. Nessuno si può sottrarre al confronto con Cristo.

Quelli che credono e obbediscono alla Parola sperimentano salvezza gratuita e integrale. Certo, è sempre possibile che lungo la storia qualche pietra si distacchi e cada, ma l’edificio rimarrà comunque in piedi e sarà saldo. La liturgia sale ancora di tono fino a inoltrarsi nei misteri dell’aldilà, nella proclamazione del vangelo. Gesù ha parlato ai suoi del destino crudele che lo attende e della sua prossima partenza (Gv 13,33). Loro si sono rattristati e impauriti. Egli li rassicura, esortandoli ad avere fede in Dio e in lui, che va a preparare loro un posto nella casa del Padre, poi tornerà e li prenderà con sé e così staranno sempre insieme (Gv 14,1-3).

Forse pochi altri passi del vangelo di Giovanni sono così concreti e immediati come questo. Proviamo a immaginare che un tale di nostra conoscenza ci dica: mio padre possiede un condominio gigantesco, dove ci sono appartamenti per tutti. Vado, segno i posti per ciascuno e poi torno a prendervi, così staremo sempre tutti insieme. Devono essere rimasti shockati. Poi siccome aveva detto anche: “Del luogo dove io vado, voi conoscete la via”, sembra del tutto normale che qualcuno, Tommaso, abbia obiettato: “Se non sappiamo nemmeno dove vai, come possiamo conoscere la via” (Gv 14,5).

A questo punto Gesù fa una delle rivelazioni più totali e misteriose di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita”. Domenica scorsa l’avevamo sentito dire: “Io sono la porta”. La Via e la Porta. Due immagini contigue. I cercatori di Dio non avranno molto da faticare per sapere dove si passa per andare al Padre. Anticamente, e non solo, tanti lo hanno cercato “come a tentoni” (cfr. At 17,27). I cristiani sono coloro che hanno avuto la rivelazione della strada lungo la quale è possibile incontrare la Verità. L’incontro con la Verità è la condizione per entrare definitivamente nella Vita. Gesù, rivelando la Verità che porta alla Vita e comunicando la vera Vita a colui che la accetta nella fede, conduce alla meta dell’esistenza, che è la comunione definitiva con il Padre.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi