Il suicidio sotto i nostri occhi

Editoriale

Non avrei mai immaginato di essere coinvolto in un tentativo di suicidio da parte di un giovane che, grazie a Dio, siamo riusciti a salvare. È successo nei giorni in cui mi è arrivata la rivista Civiltà cattolica che riportava un articolo di 13 pagine su “Il suicidio giovanile” a firma di Giovanni Cucci (16 aprile). Nel brano di apertura, Cucci scrive: “Il periodo di fine anno scolastico, ordinariamente associato al riposo e alle vacanze, da alcuni anni è diventato in varie parti del mondo foriero di notizie tragiche, di suicidi o tentati suicidi tra i giovani… Tale situazione, al di là dei dati, rivela una più generale situazione di disagio diffuso nell’età adolescenziale e giovanile”. Sono riportate spiegazioni di tipo genetico, medico, biologico, cause psicologiche, sociali e familiari… Conclude però, l’autore, che nessuna di queste ragioni è sufficiente a spiegare il gesto suicida. “Un tale fenomeno – scrive ancora – richiede di essere letto nella complessa dinamica dei soggetti e della lettura da essi compiuta delle difficoltà della vita”. Una causa dell’aumento dei suicidi è, secondo Cucci, la “mutata rappresentazione della morte”, vista come uno spettacolo elettronico o da film, senza considerare con realismo il suo aspetto tragico e definitivo. Altra causa è il rifiuto della fragilità, la non accettazione dei limiti e delle perdite, in una concezione narcisistica di se stessi che la cultura contemporanea propone. Nella triste esperienza di cui dicevo all’inizio, la causa del tentativo di quel giovane è il fallimento, l’incapacità di uscire dalla dipendenza della droga, il rimprovero (giusto, fatto con finalità terapeutiche) degli operatori dell’ennesimo servizio presso il quale cercava di disintossicarsi, senza però metterci lo sforzo convinto della volontà. Tutto ciò scritto in un foglietto lasciato sul comodino accanto al letto, vicino ai contenitori vuoti di sostanze tossiche che l’avevano ridotto in coma; si è salvato per il pronto intervento del 118. Un giovanottone alto e grosso. Nel breve scritto prometteva minacce se fosse stato risvegliato, chiedeva scusa del gesto, ma era deciso, perché deluso e stanco di combattere. Ha scritto anche una specie di preghiera sul retro di un santino, dove diceva: “Dio non è mai stato dalla mia parte. O forse io non sono stato dalla sua. Spero che mi accolga lassù”. L’articolo di Civiltà cattolica conclude proponendo una serie di riflessioni e suggerimenti che vanno nella direzione del cambiamento della “cultura di morte” oggi diffusa – e assorbita da adolescenti e giovani – nella direzione dell’“educazione alla vulnerabilità”, un punto di vista che meriterebbe di essere approfondito da parte degli educatori. Un tempo questa capacità di soffrire e di subire un condizionamento dalla famiglia e dalla società si trasmetteva con i riti di iniziazione. Tutto ciò induce a segnalare l’urgenza della educazione che dovrebbe essere impegno primario nelle famiglie e nelle scuole, fatta da tutti, non indulgendo, ad esempio, alla tolleranza nei confronti dei cattivi maestri e delle trasgressioni di personaggi pubblici. Prevenzione e repressione dura contro gli spacciatori. La morte per droga di un ragazzo di 17 anni, domenica scorsa, in mezzo ad un campo nella periferia di Perugia dà tragica attualità a tutto il discorso. A quando un soprassalto della società contro questa deriva suicida?

AUTORE: Elio Bromuri