La liturgia della domenica delle Palme presenta due aspetti: la memoria dei festeggiamenti popolari in onore di Gesù, mentre si avvicinava a Gerusalemme; e l’ingresso della Chiesa nei giorni decisivi della Pasqua, mistero di morte e risurrezione. La lettura del Vangelo, che la caratterizza nella prima parte, è il racconto/catechesi dell’accoglienza fatta a Gesù, re umile mansueto, da parte delle folle pellegrine; e dell’agitazione e degli interrogativi provocati dall’arrivo in Gerusalemme di un vincitore disarmato. L’ingresso a Gerusalemme si collega con la guarigione dei ciechi di Gerico, avvenuta subito prima della salita verso la città santa, e con il movimento di folla che l’aveva accompagnato (Mt 20,29-34).
Matteo racconta che i due ciechi guariti lo seguirono (20,34); nulla dice della folla presente al miracolo; non è improbabile tuttavia che lo abbiano seguito, entusiasmati da quanto avevano visto. Arrivati in vista di Gerusalemme, il passaparola deve aver fatto lievitare la massa. La scena descritta nel brano di Vangelo che accompagna la benedizione delle palme (vedi box in alto) avviene prima dell’ingresso in città. Se ne possono distinguere due parti: una riguardante i due discepoli che vanno a prendere gli asinelli e preparano il corteo regale (21,1-7); l’altra riguarda l’accoglienza entusiastica delle folle (21,11), che contrasta però con il turbamento e gli interrogativi della gente della città (21,10). Il racconto è intessuto sulla trama di passi dell’Antico Testamento.
L’ordine di andare a sciogliere un’asina con il suo puledro rimanda a alla figura di Giuda, quarto figlio di Giacobbe, antenato del Messia, che il vecchio patriarca benedice, prima di morire. Di lui canta così: “Egli lega il suo asino alla sua vite, a scelto vitigno il suo puledro” (Gn 49,11). È come dire che l’atteso Messia realizzerà un’èra di pace totale, in cui perfino l’asino rispetterà il germoglio della vite, di cui peraltro è molto goloso. Il racconto è collegato inoltre alla profezia di Zaccaria, citata esplicitamente; tutto quello che sta avvenendo ne è il compimento: “Rallegrati, città di Sion, acclama, Gerusalemme, ecco giunge il tuo re giusto, vittorioso, umile; cavalca un asino, un puledro di asina”. Vittorioso e umile. Cosa insolita: un vincitore arriva in genere con i segni evidenti della sua gloria. L’asino non è un animale da guerra o da parata, ma da lavoro, una cavalcatura senza pretese, usata anche dagli antichi Giudici di Israele. I re o i principi cavalcavano scelti cavalli.
Il profeta descrive il ritorno vittorioso del re di Gerusalemme, che ha vinto non in forza di un potente esercito, ma perché al suo fianco cavalcava la Giustizia. Non è stata la vittoria di un potere aggressivo, ma, paradossalmente, della mansuetudine. L’antica profezia si compie in Gesù, che entra nella capitale per istaurare un’èra di pace e di splendore. Questa fu anche la percezione della folla festante, che lo dimostra stendendo a terra i mantelli al suo passaggio, mentre lo acclama con il saluto messianico: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. Reminiscenza di quanto era avvenuto anticamente. Narra il Secondo libro dei Re che, quando gli ufficiali seppero che Jeu era stato unto re di Israele, presero in fretta i propri vestiti e li stesero sotto di lui, e gridarono: “Jeu è re!” (2 Re 13). Ma quando Gesù entra in città, questa reagisce con eccitazione e panico. Sospettosa domanda: Chi è costui? Le folle rispondono: “Questi è il profeta Gesù da Nazaret in Galilea” (Mt 21,10-11). La risposta non tranquillizzò la città.
In effetti c’era qualcosa che non quadrava: entrava in città festeggiato come il Messia, ma era disarmato e sedeva sulla groppa di un’asina, anziché su un destriero fiammante, come si aspettavano; dicevano che era un profeta, ma veniva dalla Galilea; quando mai, insegnavano i maestri, un profeta è venuto dalla Galilea? Qualcosa di simile era accaduto una trentina di anni prima, quando erano arrivati a Gerusalemme certi saggi orientali, i Magi, in cerca del neonato re dei Giudei (Mt 2,2-3); e anche quando anticamente il re Achaz ebbe notizia che un grande esercito nemico era accampato a pochi chilometri da Gerusalemme (Is 7,2).
Anche allora la città fu turbata. Come allora, Gerusalemme fu sconvolta da violenze. Un re senza spada diventa, anche lui, vittima della sua città. Gesù entrava in Gerusalemme per prendere il potere, ma in modo totalmente differente da quanto la gente si aspettava. Il Figlio di Dio prenderà il potere mettendosi al rango di vittima. Quel potere però sarà il solo capace di vincere ogni violenza, di cui gli uomini sono vittime da sempre. L’Amore è più forte della morte (Cantico 8,6). Questa è la sola parola-chiave che permette di capire il senso della Passione del Signore. È accettando di diventare vittima che Gesù vince il male e la violenza. Perdonando il male che gli facciamo, Gesù dimostra che c’è in lui un amore più forte di ogni violenza omicida.