Un compleanno celebrato al ristorante “El Paso”, a Scheggia. Gioia sottile, per Rosangela che sta rifiorendo. Rifioriamo insieme, mia sorella ed io, grazie agli anni che passano e ogni giorno di più ci mettono in grado d ricordare benissimo quello che dentro qui successe 50 anni fa, molto meno bene quello che è successo qui davanti cinque giorni fa. Cinquant’anni fa. L’attuale sala da pranzo risulta dall’unione di due locali allora separati: di là dal muro la cantina, di qua la stalla: sia qua che là, la mole benevola del fattore, il sor Sante Bazzucchi, sovrintende all’una e all’altra, per conto dell’azienda Biancardi che qui ha il suo terminale. Silenzio, please. Nella cantina c’è un enorme tino, colmo di mosto fino all’orlo. Silenzio, please: sono entrati in punta di piedi due cuginetti, Peppino e Mario, una dozzina di anni in due, e si avvicinano circospetti alla stretta scaletta in legno che, con la sommità appoggiata all’orlo del grande tino, porta a contatto col placido mosto. Chiara l’intenzione piccolo-furtiva dei due bricconcelli: piluccare gli acini d’uva semi-spremuta che occhieggiano dalla superficie immobile del liquido dolcissimo: domani non ci saranno più perché il mosto comincerà a fermentare. È Peppino che sale la scaletta, si protende sul liquido fragrante, con la mano sinistra si tiene al bordo del tino, con la destra pilucca. Rapido, ma non abbastanza per Mario, che gli sta dietro, a metà scaletta, e gli spinge con provvisorio senso della misura ma anche con crescente frequenza il fondoschiena. Sottovoce. “E mòvete!! Su!! E daje!! E spìccete!!”. Ed è proprio per mòvese e spicciasse che la mano sinistra di Peppino lascia la presa sul bordo del tino e si mette a piluccare anch’essa acini vaganti: l’intenzione è quella di raddoppiare il prodotto del piluccaggio. Ma proprio in quel momento la spinta di Mario dal fondoschiena si fa più corposa. Oddio, oddio! Guarda, guarda! Peppino decolla. Un grido strozzato e l’immediato… come si dice?… fra qualche anno, quando Neil Armstrong toccherà per primo il suolo della luna si parlerà di “allunaggio”; ma come chiamare questo breve volo che plana subito sul mosto accogliente? Nel frattempo, con un balzo poderoso, l’aitante addetto alla cantina, provvidenziale deus ex machina d’altri tempi, ha afferrato al volo Peppino per il polso e l’ha tirato fuori dal mosto. Urlante e appiccicoso, quanto nemmeno le chiaccchiere d’una ipotetica zia Cloe avrebbero potuto esserlo. Una proposta di aggiunta ai minima moralia di Theodor Adorno? Titolo “L’ingordigia punita”? Con adeguata contrapposizione da individuare – che so io – in un bagno fuori serie in un tinozza d’acqua? No. Solo un ricordo vivo e istantaneo di quella che fu la nostra vita di paese, 50 anni or sono. E la parola torna subito alle tagliatelle casarecce e alla tenera bistecca di manzo. Prosit!
Ingordigia punita?
AUTORE:
Angelo M. Fanucci