I giovani riscoprono la terra, ma tornano in campagna con la testa, non solo con le braccia. Dietro il loro interesse per l’agricoltura c’è infatti la rivalutazione del territorio, ma anche la voglia di innovare, eliminando quelli che da sempre sono freni allo sviluppo del settore: frammentazione delle proprietà, con prevalenza di colture e attività a bassa redditività. Questo è quanto emerge da un’indagine condotta dell’Anga, l’Associazione giovani agricoltori di Confagricoltura provinciale Perugia. Dall’inizio di quest’anno in Umbria sono state 2.000 le nuove imprese agricole avviate da giovani tra i 35 ed i 40 anni. In prevalenza sono figli o nipoti di agricoltori, ma ci sono anche tanti imprenditori alla prima esperienza. Un fermento in controtendenza rispetto alla crisi che ha colpito altri comparti. “Nei primi mesi del 2011, il numero di nuove imprese agricole – osserva Anna Ciri, presidente dell’Anga Perugia – ha superato quello delle nuove nate nel settore industriale, ed oggi nella nostra regione si stima siano circa il 70 %i giovani under 40 alla guida di imprese agricole”.
Un’iniezione di vitalità, in un settore che perde il 5% della forza lavoro ogni anno, dove il 55% degli addetti ha più di 60 anni, il 60% dei quali senza figli o nipoti disposti a coglierne l’eredità. I risultati dell’ultima indagine parlano chiaro: dal 2005 ad oggi le aziende agricole sul territorio umbro sono diminuite del 2,8%, ma le superfici risultano stabili (+0,2%). A chiudere i battenti sono prevalentemente le imprese di piccole dimensioni guidate da imprenditori ultra-60enni, mentre sono in aumento quelle che possiedono una superficie agricola di oltre 30 ettari, nate dallo smembramento o dalla fusione di vecchie proprietà. Ad essere attratti dalla terra non sono più solo i periti o laureati in Agraria, piuttosto che veterinari, ma sempre più laureati in Ingegneria, Economia, Farmacia, Legge, Filosofia.
L’indagine condatta dall’Anga evidenzia poi un incremento dell’agricoltura multifunzionale: agriturismo, fattorie didattiche, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli. Ecco allora che la produzione e vendita di olio e vino rivestono importanti quote nell’economia aziendale e diventano, assieme alla cerealicultura e alla coltivazione degli ortaggi, attività tra le più diffuse per circa il 40% degli imprenditori. Importante non solo la qualità e la denominazione di origine (24%) ma anche la modalità di produzione, in cui spicca un 39% di biologico. Certo, anche in questo settore avviare un’attività da zero richiede molti investimenti. Sarebbe fondamentale alleggerire la burocrazie: “Per ottenere qualsiasi permesso o approvazione di nuovi progetti, i tempi sono infiniti – commenta il presidente dell’Anga. – Per questo la maggior parte dei terreni gestiti da giovani è in affitto. Ma questa è solo una delle voci di spesa. Vanno messe in conto anche attrezzature ed immobili. Per agevolare i giovani, i finanziamenti europei e statali non mancano, ma per ottenerli ci vogliono dai sei mesi ai due anni. Se la via dei fondi pubblici è tortuosa, sul fronte bancario le cose vanno peggio.
Ci vuole una regia in grado di gestire tutte le misure per i giovani – conclude Ciri –, saper cogliere e promuovere le conseguenze positive generate dallo sviluppo del settore, perché oggi l’agricoltura deve fare sistema con il turismo e l’artigianato, ed essere sostenibile da un punto di vista ambientale. Il valore dell’agricoltura non può misurarsi esclusivamente in termini di Pil, ma in termini di qualità della vita e di benessere che essa genera per tutta la società”.